Verso la fine. L’Apocalisse su carta di Fabio Mauri.

In Arte

Una mostra alla galleria Viasaterna esplora la produzione su carta di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009): un segmento pressoché sconosciuto nella produzione di uno dei protagonisti della vita culturale italiana del secondo Novecento

Apocalisse, letteralmente, significa rivelazione. Secondo la definizione enciclopedica è il titolo o la designazione di scritti, canonici o apocrifi, contenenti rivelazioni sui destini ultimi dell’umanità e del mondo e, in senso figurato, è sinonimo di catastrofe, rovina totale, fine del mondo. Ed è anche il titolo della mostra del compianto Fabio Mauri, Opere dell’Apocalisse, alla galleria Viasaterna di Milano, a cura di Francesca Alfano Miglietti in collaborazione con Studio Fabio Mauri e Hauser & Wirth, che raccoglie per la prima volta una collezione di dipinti e disegni su carta del Maestro scomparso nel 2009.

Fabio Mauri, Senza titolo 8 [Apocalisse], 1980, tecnica mista su carta, cm 65×50. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth and Studio Fabio Mauri

Noto per il suo eclettismo e per l’enorme apertura filosofica e concettuale, Fabio Mauri ha lavorato, intersecandoli e spostandoli su molteplici piani di significato, con mezzi espressivi come la performance, la proiezione filmica, l’installazione e il teatro, oltre che con il disegno nella sua funzione più intima e dirompente. Un mischiare le carte, quello di Mauri, che unisce corpi e luoghi, tempo e spazio della vita umana e della storia, giocando con il destino, con la memoria e con la bellezza, con la forza vitale dell’irruzione costante della realtà dentro la narrazione.

Indimenticabile la performance Ebrea del 1971, dove una giovane e desiderabile ragazza nuda traccia come un ossimoro il suo atroce destino allo specchio, su cui disegna la stella di David incollando le ciocche tagliate dei suoi capelli. Così come indimenticabile – come non citarla nei giorni del centenario dalla nascita – fu Intellettuale del 1975, quando Mauri proiettò Il Vangelo Secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, suo amico fraterno, su Pasolini stesso, fermo con le braccia aderenti al corpo, in camicia bianca a far da schermo alla sua opera. Opera e artista che si uniscono e si definiscono reciprocamente, in un atto di presa di responsabilità umana e civile che ribadisce in senso esistenzialista il valore intrinseco dell’esistenza come centro della riflessione.

I grandi temi dell’opera di Fabio Mauri si rincorrono, in tutte le sue opere, in un flusso che dall’astrazione porta al corpo fisico e ritorno, oscillando tra la formula scientifica, la riflessione teorica e l’esperienza fenomenologica, dalla bellezza femminile al terremoto.

Fabio Mauri, Senza titolo [Apocalisse], 1983, tecnica mista su carta, cm 70×10. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth and Studio Fabio Mauri

In questo stesso flusso di rimandi continui a significati paralleli e intersecati si collocano le opere su carta, tra cui le molte, inedite, in mostra a Milano. Cresciuto nel clima culturale del Futurismo e segnato dalle esperienze epocali della sua generazione – dalla guerra alla deriva capitalista alla fine delle ideologie – Mauri si aggancia, per non dire si appende, al concetto di Apocalisse nei suoi diversi significati, lasciando libero sfogo sul foglio al racconto del Caos e del Cosmo, in strutture ancora futuriste (a tratti alla Sironi) che sorreggono trombe bibliche come veicoli da guerra, in un vero post Zang Tumb Tumb esistenzialista, aspramente pessimista nei contenuti e specularmente ottimista nella formalizzazione.

Il tema del disco tanto caro all’Artista, inteso come contenitore circolare del solco già tracciato, si confonde sulla carta alle nere Trombe del Giudizio, sorretto da corpi solidi o sparato a velocità verticale, sotto nubi colorate, corpi disgregati, danze vorticose e oggetti del quotidiano.

Fabio Mauri, Dramophone 2, 2005, carboncino su carta, cm 70×50. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth and Studio Fabio Mauri

Il tratto rapido del pastello, pur soffrendo di una non specifica ricerca pittorica (o pur non essendo pittura-pittura, a lui estranea), segna il pensiero di Mauri come in un grafico meccanico impazzito, onde cerebrali che si tramutano in segno dove non in liquefazione, o si incrostano in pesanti concrezioni fumose e incombenti. Salvo poi tramutarsi in diario intimo della fine dell’esistenza, fantasmi del corpo che traspaiono sotto pelle, soggetti scabrosi e poetici che alludono alla morte allietati dalla contraddizione luminosa del colore.

È stato a suo modo un futurista, Fabio Mauri. Non tanto nel linguaggio, che pure è evidente nel lavoro grafico e che omaggiò con la performance “Gran Serata Futurista 1909-1930” del 1980, quanto soprattutto nell’immaginario prospettico, che non è solo suo ma è collettivo, ed è la visione di un destino comune. Il destino segnato dell’umanità verso la fine o il fine della storia. Verso l’Apocalisse, nel suo duplice significato di rivelazione di un Sé superiore e di terribile presagio di catastrofe.

Fabio Mauri. Opere dall’Apocalisse, a cura di Francesca Alfano Miglietti in collaborazione con Studio Fabio Mauri e Hauser & Wirth, Milano, Viasaterna, fino al 1 aprile 2022

Immagine di copertina: Fabio Mauri, Senza titolo 15 [Apocalisse], 1983, tecnica mista su carta, cm 100×70. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth and Studio Fabio Mauri

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