Uomini, donne e Murakami

In Letteratura

I racconti di “Uomini senza donne” di Murakami ci portano nella densa solitudine di un amore perso, nella nostalgia di ciò che non è mai stato

“Le donne sono la vite su cui gira tutto”, scriveva un noto romanziere a metà dell’Ottocento.

Verità indiscussa che Haruki Murakami ci ripropone quasi due secoli dopo come estrema sintesi della sua ultima fatica letteraria: Uomini senza donne. Nove anni dopo I salici ciechi e la donna addormentata, ci regala una nuova raccolta di racconti, sette per esser precisi, in cui emergono più che mai i tratti caratteristici della sua scrittura. La nostalgia per ciò che non è stato e non è potuto essere, il sovrannaturale che irrompe nel quotidiano forgiandolo a tal punto da farlo diventare naturale, la ricerca di un equilibrio tra uomini e donne.

Sono queste ultime – o meglio, la loro assenza – ad esser protagoniste di queste storie, che sono quasi divisibili in due ampi gruppi: quelle incentrate sull’atto di metabolizzare una perdita, caratteristica di molti personaggi di Murakami, sempre persi nella propria solitudine (Drive my car, Yesterday, Shahrazad, Organo indipendente); quelle in cui la presenza è invece più vera che mai seppur manifestatasi sotto forma di mistero (Kino, Samsa innamorato, Uomini senza donne).

Drive my car, il racconto che apre l’intera raccolta, ci sposta sul sedile posteriore di una Saab 900 cabriolet guidata da Misaki, giovane autista appena assunta al servizio di Kafuku, attore teatrale, alla quale viene confidata l’amicizia di quest’ultimo con l’amante della moglie, portata avanti dopo la morte di lei per capire cosa di quell’amore non le era bastato.

Dalla famosa canzone dei Beatles prende spunto Yesterday che Kitaru tenta di tradurre nel dialetto del Kansai, idioma che ha studiato duramente per poter sedere nella curva degli Haushin Tigers – propri idoli sportivi – insieme al protagonista, costretto ad uscire con Erika, la sua fidanzata, in quanto crede abbia bisogno di conoscere nuove persone.

Organo indipendente è il terzo racconto della serie: il dottor Tokay, scapolo quarantenne abile nel mantenere rapporti con donne sposate senza mai impegnarsi e che vede crollare le proprie sicurezze, ci dimostra che ‘morire d’amore’ non è solo una licenza poetica usata dai più sensibili ma può davvero significare azzerarsi sino a diventar prigionieri di se stessi.

Prigioniero di se stesso in qualche modo è anche Habara, protagonista di Shahrazād: uomo solo, confinato in una casa nella quale gli è vietato ogni contatto con il mondo senza che ci sia concesso sapere perché. Ma non è importante. Non come una donna, suo unico svago e di cui non si sa il nome, che spesso gli fa visita e che dopo ogni rapporto sessuale gli racconta una storia diversa, spesso senza arrivare al finale, tanto da portarlo a soprannominarla Shahrāzad, come la principessa de le mille e una notte.

Con Kino, come abbiamo già detto, assistiamo ad una cesura, i racconti cambiano leggermente tono. Nello specifico qui ci troviamo di fronte al mistero di un uomo ferito dall’adulterio della moglie che, deciso a cambiar vita, apre un bar in cui si alternano diversi avventori tra cui una donna, con strane bruciature sul corpo simili a costellazioni invernali di stelle spente. Dopo il primo incontro sarà costretto a fuggire spostandosi di continuo fino ad arrivare a fare i conti col proprio cuore che, come i serpenti, aveva lasciato al riparo in una tana lontana.

Samsa innamorato, forse il miglior racconto della raccolta, sovverte il racconto kafkiano della metamorfosi di Gregor Samsa in insetto. Il protagonista resta lo stesso, ma questa volta è un insetto a trasformarsi in uomo, acquisendone le difficoltà motorie, le paure, l’imbarazzo di un’erezione che non si sa come nascondere ma soprattutto la capacità di innamorarsi senza pregiudizi in una Praga dilaniata dalla guerra.

Termina la raccolta il racconto eponimo, Uomini senza donne: una telefonata ricevuta all’una di notte comunicana la morte di una donna amata tempo addietro e dal cui ricordo inizia la presa di coscienza di ciò che significa essere ‘il secondo uomo più triste e solo al mondo’, perché il primo non può che essere il marito della vittima.

Murakami si conferma essere una luce, più scrittori racchiusi in uno, capace di infinite variazioni e di una freschezza che sa scoprire il mondo dall’inizio, partendo dai punti basilari. Come che ‘uomini senza donne’ si diventa in un attimo, dopo aver amato e perduto una donna – che sia stata portata via dai marinai o si sia tolta la vita. In ogni caso è così che ci si diventa, con la loro solitudine attaccata addosso, come un colore che ti entra dentro.

Murakami Haruki, Uomini senza donne (Einaudi,  pp. 228, € 19)

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