Un poliziotto disfunzionale e un funerale a tutto Springsteen

In Cinema

“Thunder Road” è la nuova scoperta indie che arriva dall’America lontana dalle grandi città. L’ha prodotto, scritto, diretto, interpretato, montato e musicato Jim Cummings, partendo dal corto premiato nel 2016 al Sundance Festival. Racconta il complicato menage tra un agente divorziato e la figlia, e tante altre cose della vita. E’ a tratti commovente, spesso esilarante, imperfetto, nevrotico, pieno di energia. E alterna comicità e dramma in un cocktail strampalato ma convincente.

Si apre con una cerimonia funebre piuttosto sui generis Thunder Road, il primo lungometraggio di Jim Cummings, nuova star del cinema indie americano, e continua con il consueto repertorio sulla vita americana lontana dalle grandi città, tra frustrazione e noia, droghe pesanti e sogni troppo leggeri per riuscire ad afferrarli. Il funerale è quello della madre di Jim Arnaud (sempre Jim Cunnings, autore anche della sceneggiatura), giovane poliziotto texano in crisi d’identità, tra un divorzio complicato e una figlia bambina con la quale non riesce a passare abbastanza tempo, uno scontro con i superiori, una sbronza con gli amici, un puro e semplice momento di sbandamento, uno dei tanti di una vita tutt’altro che esemplare, sia dal punto di vista personale che professionale.

Quello che ci si può aspettare dal protagonista è già evidente nella sequenza iniziale dell’orazione funebre. Jim la inizia infatti in modo più o meno convenzionale, ma conclude con un balletto surreale, infilando in mezzo una fitta schiera di gaffe – una più demente dell’altra – e diversi tentativi di dedicare alla madre morta Thunder Road di Bruce Springsteen, prima cercando di azionare il lettore cd della figlia, che naturalmente non funziona, poi mettendosi a cantare, senza riuscirci, e infine semplicemente ballando, o meglio mimando la canzone, con esiti esilaranti ma anche piuttosto imbarazzanti.

Questi primi dieci minuti di film, davvero strepitosi, vengono dritti dal cortometraggio (premiato al Sundance nel 2016) che il geniale e ubiquo Cummings non solo aveva diretto e interpretato ma anche montato e prodotto, occupandosi in prima persona di ogni aspetto, dalla sceneggiatura alle musiche. In questa versione lunga si è fatto dare una mano da una manciata di collaboratori ma in gran parte ha continuato a fare tutto da solo, dando prova, va detto, di un indubbio talento, oltre che di una certa inclinazione alla megalomania. Del resto, come ha dichiarato lo stesso Cummings, nel personaggio del poliziotto che tenta in ogni modo di tenere sotto controllo le proprie emozioni (ma fallisce miseramente) si riverberano alcuni elementi dell’autobiografia dello stesso autore, cresciuto a New Orleans in un universo dove ai maschi si insegna solo a fare i duri e mai a gestire le proprie fragilità.

Un mondo da cui si può soltanto scappare, anche se molti non ci riescono. E proprio di questo parla Thunder Road, una delle ballate più belle di Springsteen, dall’album Born to Run, vero e proprio inno al bisogno di partire e cambiare vita, senza chiedersi cosa si sta lasciando, certi che in fondo alla strada ci sarà comunque qualcosa di meglio. A tratti commovente, spesso esilarante, un film imperfetto, nevrotico, pieno di energia, che alterna comicità e dramma in un cocktail sorprendente, un po’ strampalato ma alla fine ampiamente convincente.

Thunder Road di Jim Cummings, con Jim Cummings, Kendal Farr, Nican Robinson, Jocelyn DeBoer, Chelsea Edmundson

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