Il conflitto e i vermi: serve arte per svelare la guerra. Parola di Tucholsky.

In Letteratura

Torna in libreria “Deutschland, Deutschland über alles”: laboratorio di associazioni e svelamento tra potere e ingiustizia, male sociale e nazionalismo. Un illuminante documento di riflessione e di denuncia nato dal pensiero di Tucholsky e dalle manipolazioni fotografiche di Heartfield. A cent’anni dalla fine della prima guerra mondiale, un libro ancora necessario.

Il 7 marzo 1987 al Palazzo dei Congressi di Parigi si tengono le premiazioni del César, uno dei riconoscimenti più importanti nel mondo del cinema francese. Isabelle Huppert consegna a Jean-Luc Godard il premio onorario. Godard, visibilmente a disagio, con la sciarpa ancora al collo e il cappotto appoggiato frettolosamente sul tavolo del palco, bacia l’attrice e comincia il suo discorso con i ringraziamenti. Parte da quelli che chiama i «professionisti della professione», ringrazia gli invisibili: l’ufficio del montaggio, gli operatori, gli impiegati di banca.

Il pubblico – borghesi ben vestiti e ingioiellati – scoppia a ridere davanti alle parole del regista: trova divertente il riconoscimento (politico), da parte di Godard, che la condizione della creazione artistica sia la presenza di persone invisibili che lavorano e permettono la realizzazione di un’opera d’arte, poiché le condizioni oggettive dei mezzi di produzione artistica devono essere ignorate, e, quando vengono finalmente illuminate, vanno neutralizzate con l’ilarità.

Una stessa volontà di presa d’atto delle condizioni materiali che permettono la presa di parola e la rappresentazione artistica anima Deutschland, Deutschland über alles di Kurt Tucholsky e John Heartfield: in una prosa intitolata I tecnici della luce si sottolinea proprio come la riuscita di uno spettacolo teatrale dipenda anche da quegli invisibili che lavorano dietro le quinte:

 

«Vedete, un teatro senza tecnici delle luci è come una birra senza schiuma. Manca qualcosa».

 

È viva, in queste pagine, la consapevolezza che la cultura, l’arte, sono un privilegio, un privilegio di classe: «Perché io possa scrivere questo libro illustrato – sottolinea Tucholsky – è necessario: che io sia sazio, che io abbia un tetto sopra la testa; che io abbia tranquillità e tempo di guardarmi le foto che la casa editrice mi ha fornito; che mio padre, nella mia gioventù, mi abbia rifornito di tanto denaro da poter studiare qualcosa di più dell’ABC e delle tabelline… questo è stato necessario».

Deutschland, Deutschland über alles, tornato finalmente in libreria grazie ai tipi di Meltemi, esce in Germania nel 1929 ed è il frutto della collaborazione fra lo scrittore Kurt Tucholsky e John Heartfield, uno dei più importanti artisti del dadaismo berlinese e uno dei primi a praticare il fotomontaggio, soprattutto con intenti satirici (la maggior parte dei suoi controversi lavori venivano pubblicati sul mensile del partito comunista tedesco, “Arbeiter-Illustrierte-Zeitung”).

La collaborazione fra i due dà vita non semplicemente a un libro illustrato, ma a un vero e proprio fototesto: un’opera in cui il visuale fotografico e il verbale dialogano e sono co-implicati nella creazione di un significato dipendente dalla reciproca interazione delle due componenti.

Negli anni ’20 e ’30 del Novecento escono molti fototesti documentari, spesso militanti: se si guarda anche soltanto alla Germania, gli anni in cui Tucholsky e Heartfield iniziano a collaborare al loro libro sono gli stessi che vedono la pubblicazione, per esempio, de Il mondo mutato di Edmond Schultz e Ernst Junger e Guerra alla guerra di Ernst Friedrich. Sono testi animati da una stessa retorica antibellicista e mossi dal tentativo di utilizzare la fotografia come strumento di lotta e azione, rifunzionalizzando l’immagine in chiave anti-propagandistica, alla ricerca di uno sguardo nuovo e non allineato sulla realtà della prima guerra mondiale e delle sue conseguenze: implicitamente portano, così, avanti anche un discorso sui nuovi media e sul loro ruolo nella critica della società; libri che non demonizzano l’immagine, ma la utilizzano nella piena consapevolezza che la simbolizzazione del mondo, la costruzione di un punto di vista sulla realtà, avvengono inevitabilmente in virtù di una mediazione visuale.

Sono libri, inoltre, che continuamente mettono in relazione il conflitto bellico con la voracità del capitalismo e dei grandi agglomerati monopolistici, mossi da un duplice movente pedagogico e di azione concreta e attiva sul mondo, perseguito attraverso lo choc ricercato nel lettore. Si insiste continuamente sugli interessi imperialistici ed economici dei grandi gruppi industriali e finanziari nella guerra, sulla complicità fra Stato e grande industria, sulla retorica dell’eroismo: «si combattono gli appartenenti alla stessa classe – scrive Tucholsky – a tutto vantaggio dei dominanti».

A distinguere Deutschland, Deutschland über alles dai lavori di Schultz, Junger e Friedrich, tuttavia, è la forma del testo: se questi ultimi utilizzano soltanto il montaggio di foto e didascalie, Tucholsky e Heartfield prediligono, invece, una composizione più eterogenea in cui fotografie e fotomontaggi si alternano a didascalie, brani saggistici, racconti, prose satiriche, poesie, riflessioni sulle condizioni del proletariato, pezzi di critica letteraria militante, lucide analisi della società e caustica critica degli stereotipi, dell’ideologia dominante, delle forme di ingiustizia che regolano la vita della Germania fra le due guerre. Nulla è risparmiato, i pezzi satirici e di attacco veemente contro gli ideali della destra si accompagnano alla critica dei fallimenti delle politiche del Partito socialdemocratico. Tutto, in questo libro, è funzionale alla creazione di una nuova visione della realtà in grado di condurre una lotta culturale e politica, «volta a smascherare – come scrive Maurizio Guerri nell’introduzione al volume – coloro che si nascondono dietro la retorica dell’amor patrio e in nome del quale è permesso di sostenere o accettare qualsiasi forma di sopraffazione e di ingiustizia». È un aspetto su cui insistono esplicitamente gli autori del testo, i quali presentano la loro operazione come un tentativo di creare e offrire uno sguardo nuovo sulla Germania in grado di rendere conto di tutte le storture e le contraddizioni su cui una democrazia soltanto di facciata è stata costruita:

 

«Ma questo libro deve uscire. Esso vuole tentare di tirare fuori da immagini occasionali, da ritratti intenzionali, da ogni tipo di foto, per quanto possibile, il tipico. Da tutte le immagini messe insieme emergerà allora la Germania, uno spaccato della Germania. Ma poiché le immagini ufficiali tagliano sempre il formaggio in modo che i vermi non vengano mai colpiti, noi, per una volta, lo vogliamo fare diversamente. Ciò che si contorce durante il taglio, sono i vermi. Anch’essi sono Germania».

 

I vermi tagliati ed esposti dalla fotografia di Heartfield e dalla parola di Tucholsky sono gli uomini disumanizzati dal lavoro e dalla guerra e ridotti semplicemente al rango di esseri viventi; le donne e le ragazze disappropriate da se stesse a causa del sistema penitenziario; i carcerati umiliati dalla prigione; il sangue dei caduti invano in guerra; i mutilati di guerra; gli uomini distrutti dalla fatica e abbandonati dallo Stato; l’industria degli armamenti, i baroni del carbone, i conti dell’acciaio, i latifondisti; una società deterministica in cui «ogni classe ha per sé il proprio destino»; l’affollamento e l’impossibilità della solitudine per le classi popolari; la bassezza d’animo originata dall’indigenza; i bambini lavoratori; la proprietà privata «mal interpretata e mal applicata». Ma i vermi sono anche i volti e i nomi degli uomini di stato, dei politici, degli intellettuali, dei monopolisti satireggiati in queste pagine.

La forza di questa requisitoria sta proprio nella scelta estetica del dialogo e della frizione fra due forme espressive differenti che, nella loro interazione, creano un ambiente discorsivo in cui tutti gli stili sono attraversati per rendere conto di una realtà talvolta invisibile o nascosta; per renderla manifesta a uno sguardo diverso, straniato, contrapposto a quello della retorica e dell’ideologia dominanti. Il progetto estetico-politico, così, prende forma attraverso una elaborazione del rapporto fra individuo e mondo che passa necessariamente e contemporaneamente attraverso le immagini e la parola.

A distanza di quasi un secolo, Tucholsky e Heartfield ci restituiscono un mondo ormai lontano, ci ripropongono la visione di volti sfocati, i cui nomi non ci parlano più. Eppure, la loro attualità è quanto mai stringente: Deutschland, Deutschland über alles si presenta al lettore contemporaneo sia come un documento storico di incredibile interesse sulla vita della Germania fra le due guerre, sia come un libro che ancora è in grado di esporre le contraddizioni legate alla sfera del mondo del lavoro, del sistema carcerario, della precarietà, del rapporto fra Stato, individuo e monopoli, della funzione dei media di comunicazione di massa. Soprattutto, nel centenario della fine della prima guerra mondiale, ci offre un valido antidoto a retoriche sovraniste pericolose e mistificanti.

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