L’estate che sciolse ogni cosa: McDaniel e la svolta di un’epoca

In Letteratura

In un paesino schiacciato dal caldo, nel pieno dell’estate del 1984, un ragazzino entra nella vita di una famiglia accompagnato dalla fama di essere nientemeno che il Diavolo. Qualche decennio dopo, il figlio legittimo, al tempo ragazzino, racconta cosa fu il momento in cui cambiarono (e si rivelarono) la comunità, il senso delle cose, la sua stessa esistenza. Tiffany McDaniel ripercorre un topos letterario di grande efficacia in “L’estate che sciolse ogni cosa”, pubblicato, con la consueta cura, da Atlantide.

L’idea che sta alla base del romanzo di Tiffany McDaniel, L’estate che sciolse ogni cosa è una di quelle idee fulminanti, che catturano immediatamente il lettore: il figlio di un pubblico ministero, una volta invecchiato, racconta di quando, in un’estate della sua infanzia, nel pieno degli anni ’80, il padre invitò a comparire il Diavolo nel piccolo paesino di provincia dove abitavano. Si presenta, in risposta, un ragazzino di colore che afferma di essere Satana in persona.

Già queste pochissime righe, che dicono tutto senza dire effettivamente niente, bastano a catturare l’attenzione e a scatenare la curiosità: persino in chi si dovesse addentrare nella lettura in periodi di magra, quando la capacità di concentrazione fosse messa alle corde da caldi estremi, o da freddi estremi.

Il calore, in ogni caso, è davvero la temperatura di questo romanzo, che trascina subito il lettore, fin dalle prime righe della narrazione, nel pieno dei trenta e passa gradi agostani:

“Era un caldo che non scioglieva soltanto le cose tangibili, come i cubetti di ghiaccio, il cioccolato, i gelati. Ma anche l’intangibile. La paura, la fede, l’ira, e ogni collaudato modello di buon senso. Scioglieva l’esistenza della gente, gettandone il futuro in cima al mucchio di terra sulla pala del becchino”.

McDaniel, però, è visibilmente innamorata della propria storia. Perciò non si pone alcun limite, e non fa altro che giocare al rialzo per tutto il romanzo, caricando e caricando il libro di tematiche fino all’ultima pagina: dal coming of age al razzismo, da questioni come colpa e redenzione all’importanza dei nomi, e così via.
McDaniel affronta quello che potrebbe sembrare un accumulo di tematiche fin troppo eccessivo con un tale entusiasmo, con una tale voglia di raccontare tutto quello che vuole e che le sembra importante, quasi L’estate che sciolse ogni cosa fosse l’unico libro che scriverà mai, che non si può non rimanere in fondo affascinati da una simile bulimia narrativa.
È proprio l’amore con cui McDaniel racconta la sua storia a farci innamorare del suo racconto, al di là di ogni possibile difetto.

COMING OF AGE

Al centro di L’estate che sciolse ogni cosa vi è, apparentemente, il più classico dei coming of age.
Il protagonista, nonché narratore, è infatti Fielding Bliss, ragazzino di tredici anni, figlio del procuratore e migliore amico di Satana – ovvero Sal, suo coetaneo, di colore, che si è presentato all’invito del padre di Fielding e che viene piuttosto velocemente adottato dalla famiglia Bliss.
L’estate del 1984, fra le altre cose, è l’estate che scioglie l’infanzia di Fielding. Sono i mesi di passaggio verso l’adolescenza e l’età adulta.
È facilmente percepibile, sotto questo aspetto, la presenza di una vena fortemente kinghiana nell’approccio all’infanzia e ai suoi riti di passaggio.

Ma ciò che contraddistingue il romanzo di McDaniel dal classico coming of age è il suo esito. Nella letteratura del coming of age diamo per scontato che i riti di passaggio, la crescita e le sue prove, siano intese in un senso progressivo e positivo. Ovvero, che più alte saranno le sfide, più alta sarà la ricompensa. Che non vi possa essere che un unico esito nella crescita del personaggio, che abbandonerà l’infanzia e diverrà un adulto, certo pieno di nostalgia per i tempi dell’infanzia, ma comunque per lo più funzionale e completo.
Questo non succede in McDaniel. L’estate che sciolse ogni cosa mette in scena un coming of age fallito, dove qualcosa va irrimediabilmente storto.
A fare da contrappunto al racconto dell’estate del 1984, infatti, sono presenti gli aneddoti della vita di Fielding ormai cresciuto, tanto che quando racconta gli eventi di quell’estate

“se fossi uno che festeggia ancora il proprio compleanno, ci sarebbero ottantaquattro tremolanti candeline accese sulla mia torta, su questa vita e sul suo genio terrificante, la sua inevitabile tragedia, la sua estate di bocche spalancate ad addentare quel piccolo universo cui avevamo dato nome Breathed, Ohio”.

Senza rovinare la sorpresa e il piacere di leggere cosa ha determinato un simile slittamento dal più pacifico dei coming of age, quello che voglio sottolineare qua è come McDaniel ci mostri continuamente le conseguenze di quell’estate. Ovvero, non si ferma alla tragedia in sé, lasciandoci intuire lo sfacelo che ne seguirà, ma ce la mostra, seppur tramite dei brevi aneddoti e flash, in tutta la sua irrimediabilità.
L’estate che sciolse ogni cosa è un romanzo anche sulla colpa e la redenzione, ma soprattutto sulla colpa che sentiamo e sulla redenzione che crediamo di non meritare.
Uno dei momenti più belli e strazianti del romanzo è il racconto di quando Fielding, ormai ben più che adulto, si getta con il paracadute in un campo dove ha disseminato della carta stagnola su cui ha scritto i suoi peccati, con la promessa che se fosse atterrato sulle piante e non sulla carta stagnola, sarebbe finalmente fuggito dai suoi fantasmi e dalle sue colpe, che avrebbe, insomma, meritato la redenzione.

“Avrei addolcito il mio cuore. Mi sarei lasciato intenerire dalla curva della schiena di un’amante. Non mi sarei più graffiato il dorso contro mattoni di cemento, né mi sarei cannibalizzato in bocconi perfetti. […] Il perdono. Però, mi ero detto, se fossi atterrato su uno dei miei peccati, non avrei lasciato la punizione e la colpa alle spalle, e avrei permesso alle zanne di completare la devastazione finale. Avrei conservato la forma che meglio si adatta alla bara e accettato la spaventosa persistenza dei miei crimini”.

Il centro di L’estate che sciolse ogni cosa è proprio in questo passaggio. Le conseguenze del rito di passaggio di quell’estate, il coming of age, si ripercuotono per tutta la vita di Fielding.
McDaniel in questo è coraggiosissima, prende la tipica struttura di crescita di una persona e la rende perversa e oscura, e ci mostra come lo stesso meccanismo rompa quella persona, nonostante tutti i tentativi di Fielding di superare la propria infanzia, le proprie colpe, i propri peccati.

I FANTASTICI ANNI ’80

L’estate che sciolse ogni cosa, però, non vuol essere unicamente un romanzo di formazione.
Il racconto di Sal e Fielding è anche il racconto della cittadina di Breathed e dell’oscurità che soggiace sotto la tipica patina da piccolo paesino. Gli abitanti della città, infatti, nel momento in cui arriva Sal – non a caso un bambino nero – iniziano a dare il peggio di sé.
La paura per il diverso è esacerbata dalla finzione di Sal di essere il Diavolo. Tutta la crescente violenza che vedrà coinvolta la famiglia Bliss sarà giustificata e motivata proprio con il fatto che stanno ospitando Satana in persona. Il racconto di come la tipica cittadina di provincia sia in realtà profondamente intrisa di violenza, razzismo, omofobia e perbenismo non è certo una novità, specialmente per la narrativa statunitense. McDaniel però riesce a dargli un tocco di originalità giocando proprio con questo aspetto satanico e facendo raccogliere ironicamente tutto il rancore della cittadina attorno al personaggio razzista di Elohim, citazione del nome ebraico di Dio (L’estate che sciolse ogni cosa non fa della sottigliezza il suo cavallo di battaglia).

Particolarmente interessante è come la città di Breathed e forse lo stesso coming of age di Fielding siano sineddoche di un’intera epoca: gli anni ’80. “

Io dico che il 1984 fu un anno che seppe come farsi ricordare, come fare la storia. La Apple lanciò il Macintosh per il mercato di massa, due astronauti passeggiarono tra le stelle come divinità, e Marvin Gaye, che cantava quanto sia dolce essere amati, venne ucciso da suo padre con un proiettile dritto al cuore. […] A conti fatti gli anni Ottanta si sarebbero rivelati anni industriosi per il diavolo. Era impossibile non vederne le corna ovunque”.

Il 1984, come ricorda Fielding nelle prime pagine, fu l’anno dell’isteria di massa e dell’identificazione dell’HIV. Allora, la descrizione dell’estate che sciolse ogni cosa può essere applicata non solo alla vita di Fielding e alla cittadina di Breathed, ma ampliata al mondo intero.

Quello di McDaniel è l’opposto del racconto nostalgico che tante volte vediamo venir fatto degli anni ’80. L’estate che sciolse ogni cosa sembra essere quasi come l’anti-Stranger Things.
Là dove, infatti, la serie tv di Netflix è l’esempio perfetto di come gli anni ’80 siano ricordati con nostalgia, soprattutto attraverso la lente distorta dei ricordi cinematografici di quando si era bambini, in un fiorire di luci al neon e synth, il romanzo di McDaniel li ricostruisce con angoscia e sguardo disincantato. McDaniel sembra, anzi, indicare proprio negli anni ’80, il momento in cui tutto è andato storto, in cui qualcosa ha iniziato a incrinarsi e a rompersi. Non soltanto in Fielding e nella sua crescita, ma nell’America tutta. La perdita d’innocenza definitiva di una nazione che, in effetti, innocente non è mai stata.
Non a caso, l’ultimo paragrafo si ricollega al finale di uno dei più grandi romanzi sugli Stati Uniti e sulla loro perdita di illusioni, Il grande Gatsby e alle sue barche risospinte senza posa nel passato. Così come, infatti, nel romanzo di Fitzgerald, racconto personale e racconto nazionale si univano in modo inestricabile, così il coming of age oscuro di Fielding diventa il coming of age fallato di un’intera nazione.

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