Ci sono cose che tu, spettatore, non vorresti mai vedere in una sala teatrale o cinematografica: non farle se non vuoi che poi vengano fatte contro di te
Ci sono cose che tu, spettatore, non vorresti mai vedere in una sala teatrale o cinematografica: non farle se non vuoi che poi vengano fatte contro di te. Ecco un manuale decalogo del bon ton redatto dopo pluriennale esperienza con molto Maalox per suturare le ferite della volgarità.
1. Caramelle. Mi rivolgo soprattutto alle signore: non sgranocchiate caramelle se non dopo averle già sgusciate prima dell’inizio dello spettacolo (c’è tutto il tempo). Insopportabile il rumore della carta che si stropiccia, specie se fatto a rate nel timore di dar fastidio; non solo, una volta liberata la caramella, ecco che di nuovo la carta si stropiccia per essere definitivamente buttata e quindi l’operazione rumore si raddoppia mentre le papille del gusto dimostrano egoistica soddisfazione. La Melato raccontava che lei fermava le poetiche battute di Fedra, nelle pomeridiane affollate di signore in terza età, in attesa che le caramelle fossero scartocciate per bene.
2. Cerniera. Appena inizia lo spettacolo le signore, sempre loro, più pericolose come gender di spettatrici, iniziano ad aprire la borsetta tirando voluttuosamente la cerniera lampo anche più volte in andata ritorno, beandosi di quel familiare rumore molesto ai vicini e al palcoscenico. Il similare maschile è la cerniera dei giubbotti, pericolosa anche quella perché più ardua da trovare al buio.
3. Telefonini. Non dovrebbe esserci bisogno di dirlo, che i telefonini vanno spenti, resi silenziosi, inoffensivi, al massimo vibranti sensualmente nella tasca mentre si assiste a uno spettacolo o a un film. In genere la platea viene avvertita ma c’è sempre qualcuno che chiacchiera e non si accorge. Al cinema poi è ormai consuetudine che si armeggi col cellulare o l’I Pad inondando di riflessi di luce grigiastra la fila dietro e i vicini, noncuranti che il film è una questione di luce. E al minimo cenno di rimbrotto, l’ignorante è subito pronto con la parola dalle due zeta, che non è pizza: non sa e non capisce che infastidisce la ricezione. Nei locali deserti del pomeriggio il premio spetta a chi risponde e parla, mentre molti sussurrano dicendo che ora non possono, sono al cinema; e intanto disturbano. Possibile che siano tutti importanti business man, tutti Obama in incognito che non possono attendere la fine del film per controllare le mail? Che poi in genere è: butta la pasta alle 22.20, passo a prendere il pupo quando finisce, tutto il repertorio della signora Cecioni in Valeri.
4. Telefonini vip. Peggio ancora se chi fa squillare il cellulare è persona nota e insospettabile. Alla prima di Lehman trilogy, una nota attrice non solo ha fatto trillare il cellulare ma poi ha incominciato a dire: proprio io, proprio io, raddoppiando il fastidio mentre cercava di recuperare l’aggeggio in borsetta senza mai trovarlo. Una variante è la vecchia signora digiuna di tecnologia che lascia squillare perché confida all’amica che non è capace di spegnerlo.
5. Applauso prematuro. Succede soprattutto con la musica, quando alla fine di un atto di un’opera o al termine di un concerto, il pubblico esplode in anticipo nel plauso, rovinando le ultime battute dell’orchestra. Certo, a fin di bene e per entusiasmo, ma rovinando quel momento magico e di dolore in cui termina l’ascolto e si torna nella realtà dove, passati alcuni secondi, è giusto e sacrosanto applaudire anche fino a spellarsi le mani. Un disagio ancora più forte quando la regolamentazione con il computer delle durate dei film accende la luce prima della fine, magari di 30 secondi ma basta per rovinare tutto ed interrompere definitivamente l’emozione (un copyright Veltroni ai tempi degli spot dei film in tv).
6. Chiacchiericcio. È il più antico e consueto dei vizi. Anche qui le campionesse sono donne che molestano spesso il compagno o l’amica per chiedere, anche dopo pochi minuti, se gli piace. Insopportabili quelli che ripetono la battuta, perché magari riflette il titolo stesso (Luca Ronconi diceva che quando la gente sente ripetere in scena il titolo scorre un brivido di piacere in platea): esempio quando la Taylor o chi per lei (da noi la prima fu Lea Padovani in gran fruscio di sottoveste di seta) dice che si sente come una gatta su un tetto (di latta) che scotta. Vuol dire che hanno capito il significato.
7. Chiacchiere 2. Tremendi quelli che subito informano i vicini che loro lo spettacolo o il film l’hanno già visto anni fa con questo e con quello, c’era lui e c’era lei, che questo è solo il remake, che era meglio sicuro quello vecchio perché la nostalgia gioca spesso brutti scherzi. E quando c’è una pausa o solo un latrato di cani o il rumore di carrozza, come nei vecchi Cecov viscontiani, le spettatrici si sentono autorizzate a parlare loro: tanto non stanno dicendo niente in scena, ti rispondono. Una glossa: tremendo il caso in cui c’è uno straniero che si deve far tradurre sottovoce all’orecchio tutte le battute. Poverino, non capisce.
8. Chiacchiere 3. Insopportabili ma inevitabili i gossip a bassa voce (ma abbastanza per essere uditi nelle file vicine) sull’età dell’attrice o attore in scena: sembra più giovane, sembra più vecchio (i più gettonati). Dunque deve avere…io ero sui 25, lei era già donna fatta, etc.: no, non è possibile, macchè, incredibile, va là: alla ricerca dell’anagrafe perduta in un eterno sforzo di ringiovanire. L’attimo fuggente in versione disturbo. Non basta il silenziatore, bisogna che qualcuno accenda le sue luci, vada su Internet, trovi l’età giusta e la confidi col necessario arrogante stupore.
9. Tosse. Ci sono signore che, specie la domenica matinèe, vengono a teatro solo per tossire, se gli viene l’impulso prima se lo tengono per quando sono sedute in sala: arrivano, tossiscono e poi tornano a casa. Gli starnuti a ripetizione sono un optional che spesso provoca ilarità soffusa, ma la tosse convulsa irrita ed allora qualcuno invita ad uscire, alcune pie donne cercano (borsetta, cerniera, fruscio) la caramella di miele che signora mia ne tengo sempre una in borsa perché non si sa mai. Grazie. Da punire anche lo spettatore della fila di fronte che non fa che muovere la testa come avesse il ballo di san Vito: alcuni, rimbrottati, si bloccano; altri protestano che anche loro sono vittime della fila davanti. Dovrebbe essere distribuito gratis il Lexotan.
10. Guardaroba. Nell’intervallo code alle toilettes specie delle signore (ovunque nel mondo è così) e alcune arrivano in ritardo al secondo tempo facendosi fare un riassunto. Insopportabile, proprio moralmente, chi appena si chiude il sipario, o anche solo il siparietto brechtiano, anche se ha gradito lo spettacolo, corre all’uscita come inseguito da un serial killer facendo alzare al buio tutta la fila per andare a prendersi il cappotto al guardaroba (usanza un po ancien règime ancora resistente) ed arrivare prima al posteggio. Gli attori, sentitamente ringraziano.
Immagine di copertina: Albert Guillaume, Les retardataires, 1914, Huile sur toile