Metropolis ispira e “accende” il Guglielmo Tell apocalittico di Chiara Muti

In Musica

Le enormi prigioni in scena, che si richiamano al celebre film del 1927 di Fritz Lang, esaltano per contrasto la natura pura e nobile ma fragile e piena di dubbi dell’eroe rossiniano da stasera alla Scala in versione integrale. Dirige Michele Mariotti che dice -scherzando – è un’opera da “maratoneti”

Fine del Rossini dimezzato
Scala. È il momento dei figli. In febbraio, Daniele Abbado ha preso in mano Simon Boccanegra di Verdi, che suo padre Claudio elesse a mito nel 1981 insieme a Strehler, per farne uno spettacolo suo. Oggi, mercoledì 20 marzo, Chiara Muti debutta nel teatro che il padre ha guidato per vent’anni, dal 1986 al 2005, come regista del Guglielmo Tell di Rossini. Pardon, Guillaume Tell, l’edizione originale francese composta per Parigi (1829), anch’essa “nuova” in Scala, dove si è sempre eseguita la versione italiana con tagli (ora più ora meno, ma sempre tagli). Sembra un ritorno “a casa”, perché l’ultima volta di Guglielmo Tell al Piermarini fu il 7 dicembre del 1988 con Riccardo Muti e lo spettacolo di Luca Ronconi, nel quale la natura ch’è nell’opera balenava in cielo azzurro e bianche nuvole (svizzere?) su un grande schermo che fece sensazione, per alcuni scandalo. 

Se vogliamo, è un figlio d’arte anche chi sta sul podio, Michele Mariotti, direttore che l’Italia in musica può sventolare come bandiera: suo padre Gianfranco è lo storico presidente del R.O.F., festival senza il quale Rossini oggi sarebbe un autore dimezzato, conosciuto per quei quattro titoli che un tempo bastavano e avanzavano. E dal 1980, anno di nascita del festival di Pesaro, sappiamo che non è così per averlo toccato con mano, non per sentito dire.

Canto del cigno
Guillaume Tell è l’ultima opera di Rossini, che a 37 anni lascia il teatro ma non la musica (scriverà delizie di segno diametralmente opposto, per pianoforte e piccoli organici, anticipando Satie e Fauré). Ed è un Rossini per “maratoneti” – scherza Mariotti -, esecutori e pubblico: 5 ore e mezza, un’esperienza di vita (dalle 18.30 alle 23 e 45, sei recite da oggi al 10 aprile, con sei annunci di tutto esaurito). Da un direttore eccellente, nato a Pesaro, cresciuto a pane e R.O.F., c’è quasi di aspettarsi una versione “autentica”, ma Mariotti si difende e respinge l’etichetta di specialista.


«Ho diretto più opere di Verdi che di Rossini. L’ultima volta con Guillaume Tell è stato dieci anni fa. E li sento – ride –. Allora quando tornavo dalle prove ero stanco. Ora sono esausto. Ma è musica che non si può vivere senza aver provato a viaggiare in questa dimensione che è una non-dimensione». 

Guglielmo l’antieroe
«Al di là della dimensione – s’interroga Mariotti –, che cos’è Guillaume Tell? Che tipo di opera? Romantica? Quali voci chiede? L’inizio è un solo di violoncello che sembra annunciare niente di epico. Ci siamo confrontati con Polidori, il primo violoncello dell’orchestra della Scala. Come suonare quel primo arpeggio? Che cosa significa? L’opera si apre meditando, su tante cose ma soprattutto sulle nostre fragilità. Dopo pochi secondi di musica dobbiamo riflettere su chi sia il protagonista. Un uomo che appena imbraccia la balestra viene irriso. Se fosse Superman nessuno oserebbe. E invece: figuriamoci se centri il bersaglio. Gli tremano le ginocchia. Colpisce la mela sulla testa del figlio e sviene. Questa è la cifra dell’opera, preromantica. Guglielmo è un non eroe che la vita costringe a vestirne i panni. Il suo è un eroismo quotidiano». 

Rossini l’onesto 
«Al di là della grandezza – insiste Mariotti –, per la quantità di interpreti, cantanti, ballerini, in un titolo che lascia il segno nella stagione di un teatro, e al di là della bellezza, è l’opera in cui Rossini si mostra nella sua estrema onestà. Scrive il lavoro più ambizioso nel momento in cui si accorge che nel nuovo linguaggio che sta nascendo, il romanticismo, non si riconosce. Rossini non amava fotografare la realtà. Voleva raccontarla attraverso il filtro della sua sensibilità. Guillaume Tell è un gesto di grande onestà intellettuale. Rossini smette di comporre musica per il teatro, ma non di scrivere musica, e toccherà il suo vertice, davvero trascendente, in un capolavoro di disarmante semplicità, la Petite Messe Solennelle».

E lo spettacolo? 
Decisa e schietta, Chiara Muti. «Mi sono mossa direttamente verso il simbolismo. Gesler, l’oppressore asburgico della Svizzera già nazione nel cuore, è un simbolo del male. Guillaume è un uomo puro, libero, che vive a contatto con la natura. Che dovrebbe vedersi, ma l’ho negata per rendere evidente una mancanza che Guillaume deve affrontare. Mancanza sofferta dalla sua gente sotto tirannia. Ma lui è quello che vede e deve salvare l’unità di chi gli sta attorno. Gli altri non sono liberi, fingono di esserlo per continuare a vivere. Lui è quello che sorride e guarda negli occhi i suoi compagni di viaggio. Il simbolismo emerge da una realtà che ci coinvolge: quante volte notiamo che ormai nessuno nemmeno vede gli altri. Piegati sul piccolo schermo, sono tutti fisicamente asserviti, in una società nella quale ognuno cerca solo sé stesso. In fondo, tutti sottomessi. Non più in contatto con il prossimo». 

Metropolis
«Perciò – procede spedita Chiara Muti – mi ha accesa il parallelismo con Metropolis, il film di Fritz Lang che nel 1927 già immaginava la macchina intesa come tecnologia che pian piano ti cattura e ti mangia l’anima. Guillaume vuole ancora vivere la natura, mettere le mani nella terra, sentire l’aria, liberare lo sguardo sulle montagne e nei boschi. L’inizio è un coro sereno, Quel jour serein, ma di una serenità che Rossini nella sua musica tinge di un falso appagamento: la collettività crede di essere felice e non lo è. Guillaume è un poco pescatore di anime. Il senso di una massa informe che s’illude di essere felice e invece è imprigionata, mi ha fatto cadere in questa visione apocalittica, attraverso il simbolismo di Fritz Lang che aveva immaginato tutto». 

La Natura in prigione
«Fra le torri che abbiamo immaginato insieme allo scenografo Alessandro Camera, gli elementi naturali sono imprigionati in mezzi schermi che tolgono loro la tridimensionalità, la dimensione che abbiamo perduto mancando il contatto con gli altri. La natura è prigioniera di uno schermo. Così emerge anche il tema biblico. Nel terzo atto, che è l’atto della sfida, dietro si profila una figura come la Morte del Settimo sigillo di Bergman. L’uomo si sottomette al peccato. Il demonio chiede a Guillaume, protetto della natura, di compiere un gesto contro natura: rischiare la vita del figlio. Come nella Bibbia. La battaglia di Guillaume è la battaglia di un eroe suo malgrado che è disposto anche a sacrificare la famiglia. Non hai paura? gli chiedono. Che importa, se siamo morti viventi. Questa è la visione che si coglierà in scena e devo dire che sono accompagnata da un direttore e da cantanti che credono in questo dialogo stretto fra musica e parola nel quale sono cresciuta».

Tagli? No grazie
«Quando abbiamo parlato del progetto con il sovrintendente e la direzione artistica della Scala – annota Mariotti –, ho messo in chiaro: togliamoci dalla testa di eseguire quest’opera con i tagli tradizionali. Per diversi motivi. Abbiamo un cast di specialisti che hanno superato gli specialismi. Con loro la ripetizione non sarà mai noiosa, perché sanno come decodificare questo linguaggio. Altro motivo: tagliando un po’ qui e un po’ là, l’opera sembrerà ancora più lunga, non più breve, perché perde la sua fisionomia. La ripetizione: come in Schubert, non la temo, ne vorrei ancora. Vorrei risentire quel tema anche senza variazioni: farcire l’esecuzione di variazioni rende un cattivo servizio alla musica, perché è come se la musica non bastasse. È necessario eseguire Guillaume Tell nella sua interezza. È giusto eseguire il trio delle donne che viene sempre tagliato, per ragioni strutturali e drammaturgiche, per motivi sociali: questa è un’opera di donne, anche. Un’opera sull’orgoglio di una comunità cresciuta nella terra, con la terra. Un’allegra malinconia, una triste allegria pervade l’opera. Questa è la cifra rossiniana».

Interpretare?
In un’intervista a Ilaria Narici sul magazine della Scala, Mariotti dice: “La musica di Rossini ha bisogno di essere interpretata e non è sufficiente fare ciò che è scritto”. Vale solo per Rossini? In fondo è così per tutti. «Certo – precisa Mariotti –, ci dev’essere sempre un pensiero, una conoscenza di stile. Non smetto mai di avvertire: non devi cantare le note, devi cantare una frase. Il senso di quel che dicevo è che c’è musica compositivamente più ricca di quella di Rossini. Bellini si può permettere il lusso di non avere nulla che sostiene la sua invenzione melodica, nessun accompagnamento. In Rossini, come in Beethoven, a volte non c’è sviluppo, la musica non è sufficiente a sé stessa se non vive nell’interpretazione». Questione di plasticità, insomma.

Il teatro ci sopravviverà
Domanda a Chiara Muti: molte regie trovano ispirazione nell’immaginario cinematografico, ma il cinema ha sempre da insegnare al teatro? «Fritz Lang mi ha ispirato nell’aspetto biblico e simbolico. Non è stata un’ispirazione estetica. Le enormi prigioni che s’innalzano in scena, riportano a quella visione, ma quel che poi emerge è l’uomo di fronte ai suoi dubbi, di fronte all’amore per la sua terra e le sue radici; il senso di umanità e la corsa verso la resistenza. E questo l’ho celebrato nel finale. Nel momento in cui l’uomo ritrova sé stesso, faccio scendere un telo dipinto dagli artigiani della Scala, a testimonianza che il rapporto con il teatro, quello antico, originario, che viene dalla Grecia, che pone un uomo di fronte all’altro, ha una forza devastante rispetto a qualsiasi altro immaginario. Il tema che ho scelto porta in questa direzione. Il trionfo finale dell’umanità che avanza, si inginocchia, guarda le stelle, alza le braccia al cielo illuminata dalla natura, velata da un semplice telo, è il teatro che vince e ci sopravviverà».

Foto Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Teatro alla Scala Gioachino Rossini Guillaume Tell. Dirige Michele Mariotti, regia di Chiara Muti (20, 23, 26 marzo; 3, 6, 10 aprile)

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