Per Expo, il Comune offre l’occasione di scoprire Palazzo Marino e la sua storia: tra affreschi meravigliosi, tracolli finanziari, monache scandalose e bombe
Scorrendo gli elenchi della miriade di iniziative che popolano questi concitati mesi di Expo, capita anche di imbattersi in proposte preziose. È il caso delle visite gratuite organizzate dal Comune in casa propria: Palazzo Marino, sede della municipalità milanese. E poco importa che “nutrire il pianeta” c’entri poco con le maestose sale del palazzo progettato da Galeazzo Alessi (ma quanti expo-eventi hanno qualche attinenza?): conta piuttosto l’opportunità di esplorare un palazzo dalla storia plurisecolare, accedendo anche a sale normalmente escluse dai percorsi di visita.
Galeazzo Alessi, si diceva. Il palazzo che tante volte appare fugace in spezzoni di repertorio montati nei servizi dei telegiornali, fu costruito a partire dagli anni Cinquanta del Cinquecento per volontà del banchiere genovese Tommaso Marino: uno degli uomini più ricchi e potenti di quella Milano che parlava spagnolo. Per il suo palazzo in forma di fortezza (o forziere, vista la professione) Tommaso si rivolge al perugino Galeazzo Alessi che si era fatto le ossa al servizio di tanti mercanti genovesi. A Milano però non si era mai visto nulla del genere: massiccio, imponente e insieme raffinato nella decorazione squisitamente manierista delle facciate, tra mascheroni mostruosi e colonne che non sostengono alcunché. Per decorare tra stucchi e affreschi i saloni giungono, sempre da Genova, i fratelli Semino, aggiornati sulle ultime novità romane. È così che muse e dei dell’Olimpo vanno ad abitare sulla volta del salone grande (per molto tempo hanno anche vegliato sulle sedute del consiglio comunale; oggi l’assemblea si svolge in un’altra sala e non può più usufruire dei suggerimenti superni: peccato).
In una delle sale a pianterreno nasce, nel 1575, Marianna de Leyva, nipote di Tommaso Marino. Le toccheranno, nell’ordine, la monacazione forzata in un convento monzese, una relazione scandalosa con un nobilotto milanese e quattordici anni di reclusione, comminati da Federico Borromeo, in una cella murata di due metri per uno, a espiare. Le toccherà, soprattutto, l’epiteto “sventurata”, affibbiatole da Alessandro Manzoni nell’atto di rendere immortale la triste vicenda della Monaca di Monza.
Ma le fortune della finanza sono alterne, oggi come allora: un tracollo economico impedisce a Tommaso Marino di portare a compimento il palazzo su cui aveva impresso per sempre il suo nome. Solo alla fine dell’Ottocento Luca Beltrami costruirà, in stile, la facciata su Piazza Scala. È l’architetto cui si devono anche il restauro (ma forse è più corretto: ricostruzione) del Castello Sforzesco e innumerevoli altri interventi in città. Pochi hanno lasciato un segno tanto significativo sul volto di Milano. Nel frattempo, nel 1861, all’indomani dell’unità d’Italia, il palazzo è diventato sede del Comune. Nel loggiato, al secondo piano, i volti bronzei dei sindaci meneghini del passato più o meno recente impongono ai visitatori, con sguardi seri, la sacralità municipalistica del luogo. A concludere la storia travagliata dell’edificio giungono nel 1943 le bombe americane che danneggiano irrimediabilmente buona parte delle decorazioni del salone Alessi. Seguirà un lungo restauro. A conclusione dei lavori, nel 1954, su uno dei portali del salone è inciso “iure ac labore resurgo”, motto ambrosianissimo.
Tutto questo e molto altro raccontano le audioguide che accompagnano la visita: dispiace che siano audioguide, a tratti fin troppo laconiche, ma non si poteva fare altrimenti, con gruppi misti di visitatori che giungono – e fa piacere – da tutto il mondo. È un’occasione da sfruttare per fare conoscenza con un palazzo al centro, nel bene e nel male, della storia di Milano.
Palazzo Marino. Visite speciali per Expo, Milano, Palazzo Marino, fino al 31 ottobre
Immagine di copertina: la facciata alessiana di Palazzo Marino verso piazza San Fedele