La musica che gira intorno/13

In Musica

Iniziare l’anno in bellezza. Ecco un buon motivo per leggere tutto d’un fiato le quindici proposte della nostra rubrica. Buona anzi, ottima musica. Tutto qui. E scusate se è poco

Alice Sara Ott – Butterfly/ March of the trolls di Edvard Grieg
Padre tedesco e madre giapponese, 28 anni, Alice Sara Ott è la nuova meraviglia del pianoforte classico, un concentrato di precisione e passione. Concertista acclamata (le sue esecuzioni di Berio, Liszt e Berlioz con la London Symphony Orchestra, al Barbican, nel 2010 suscitarono l’entusiasmo del Times e del Guardian), dal 2008 incide per la Deutsche Grammophon. Il suo ultimo lavoro, l’incantevole Wonderland (****), la vede immergersi nel Concerto per pianoforte, nel Peer Gynt e nei Pezzi lirici del norvegese Edvard Grieg.


Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – I did it / Wasting time
Missouriano di stanza a Denver, Colorado, Nathaniel Rateliff (***1/2) con la sua voce poderosa è un campione della scena locale. Attivo dal 2005, negli ultimi anni si è esibito con Lumineers, Bon Iver, Laura Marling, Iron & Wine, Mumford & Sons. La popolarità è arrivata nel 2013 con la formazione di soul bianco The Night Sweats, che propone una musica forte e decisa, un soul fiatistico debitore di Otis Redding e Sam Cooke con robusti innesti rock che rimandano alla Band. Sentire per credere.


Neil Young – Peace trail/ Glass accident
È Neil Young, non si discute: prendere o lasciare. E così, a poca distanza dall’ambientalista Earth, esce il suo trentottesimo album di studio, Peace trail (****), registrato allo Shangri-La Studio di Rick Rubin. Un disco in presa diretta, scarno ed essenziale, poco o niente incline ad assecondare le regole della bella confezione e del bell’ascolto. Dentro, la sua chitarra lancinante, la strepitosa batteria di Jim Keltner a lungo con Ry Cooder, e una manciata di canzoni sporche e cattive che parlano di cambiamenti, oleodotti costruiti sulle terre dei nativi, robot acquistati su Amazon, terroristi suicidi. In attesa del prossimo ruggito, da godere e da far durare.


John Prine – Falling in love again/ Remember me
Veterano del cantautorato americano, il settantenne John Prine, uno dei miei preferiti di sempre, affronta con For better, or worse (***1/2) un genere che amo soltanto a piccole dosi, il country, e in questo caso un sottogenere del country, il duetto con voci femminili. Lo aveva già fatto nel 1999 con In spite of ourselves, qui si confrontano con lui Iris Dement e l’ottima Kathy Mattea (scelgo la toccante Remember me, un classico bluegrass di Jim & Jesse), Lee Ann Womack e Alison Krauss (già ascoltata in una serie di begli album con l’ex Zeppelin Robert Plant, scelgo la lenta e avvolgente Falling in love again di Don Williams), Susan Tedeschi e Morgane Stapleton, Amanda Shires e Miranda Lambert, Kacey Musgraves e Fiona Prine. Avrei preferito un disco di composizioni originali, ma in mancanza di meglio…


LP – Lost on you/ Death valley
Italo-americana di Huntington nei pressi di Long Island, madre napoletana e padre siculo-irlandese, 35 anni, Laura Pergolizzi in arte LP è esplosa con il singolo Lost on you, molto ascoltato in radio e ancor più visualizzato (50 milioni su YouTube), e già si era fatta notare con la bluesy Muddy waters, nella soundtrack di Orange is the new black. In realtà lei è sulla scena dal 2001 con album bene accolti dalla critica ma di scarse vendite, e ha scritto per molti altri (Rihanna, Backstreet Boys, Cher, Christina Aguilera, Leona Lewis, Rita Ora). Lost on you (***1/2), l’album che capitalizza il successo del singolo, è il suo quarto lavoro. Fra intimismo e rock grintoso, con una voce che impasta ruggine e velluto, testi ruvidi (Other people) e piccoli inni alla libertà di chi non segue i sentieri battuti (Strange, LP è omosessuale dichiarata) un bel disco che mostra una via autoriale all’easy listening.

Eric Clapton – After midnight/ Little queen of spades
Serata in stato di grazia per Eric Clapton, il 15 marzo 2007 a San Diego, California. Una band superlativa, musica che gira a mille, versioni incandescenti e dilatate dei suoi classici (Tell the truth, Key to the highway, Got to get better in a little while, Anyday, Motherless children, Layla, Crossroads), un gran bell’omaggio a Jimi Hendrix (Little wing), il superospite J. J. Cale (After midnight, Cocaine e altri tre brani). Il risultato, riversato in questo doppio (****), è eccellente. Come dimostra la superlativa versione, oltre diciassette minuti, del classico di Robert Johnson Little queen of spades.


Jonas Kaufmann – Voglio vivere così/ Musica proibita
Tedesco di Monaco di Baviera, 47 anni, Jonas Kaufmann è il tenore più acclamato del nuovo millennio (lui dice di avere appreso come si sta in scena da Giorgio Strehler, che lo volle nel 1998 al Piccolo per Così fan tutte). Voce salda e naturale, dizione italiana accettabile, ora Kaufmann sulla scia di Pavarotti coltiva anche un’inclinazione pop di cui offre un saggio con questo Dolce vita (***1/2), titolo un po’ stereotipato per diciotto brani incisi con l’Orchestra del Massimo di Palermo diretta da Asher Fisch. In repertorio romanze (Mattinata di Leoncavallo ma anche Musica proibita di Stanislao Gastaldon), canzone napoletana (da Torna a Surriento a Core ‘ngrato), canzoni tra le due guerre che già videro le incursioni dei Gigli e degli Schipa (da Non ti scordar di me a Voglio vivere così) e un po’ di pop più recente, da Volare di Modugno a Parla più piano (il tema del Padrino) di Nino Rota, fino a Con te partirò di Bocelli. Non male, per chi ama il genere.


Lo Stato Sociale – Amarsi male
Hanno in media trent’anni, uno fa teatro, un secondo è sociologo, il terzo lavora in una fabbrica di pelletteria e il quarto è informatico. Nome collettivo Lo Stato Sociale, da qualche anno propongono un curioso e ironico melange di pop engagé, musiche da classifica e testi dissacranti. Gli album si chiamano Welfare pop, Turisti della democrazia e L’Italia peggiore. “Noi siamo bolognesi, abbiamo la politica dentro, ne parliamo al bar. Mettere la società nelle canzoni è una sfida”. Con il nuovo singolo Amarsi male (***1/2), già 400 mila visualizzazioni su YouTube, battistrada del nuovo album previsto per la primavera (il 22 aprile li si ascolterà al Forum di Assago), prendono di mira i tic e i nuovi riti di (giovane) coppia, dall’agriturismo con il cinghiale bio alla pizza gourmet al film di cui parlano tutti con l’attore che da poco ha fatto coming out. La nuova sorpresa del pop italiano sono loro.

 

Hope Sandoval – The peasant/ Liquid lady
Losangelina di origine messicana alla faccia di Trump e dei suoi progettati muri, attiva dal 1986 con gli Opal e poi con i Mazzy Star, Hope Sandoval è una delle più affascinanti cantautrici della scena alternativa Usa. Dopo anni di collaborazioni eclettiche (Air, Chemical Brothers, Massive Attack) torna con il languido e ipnotico Until the hunter (****). Compagno d’avventura, come al solito, Colm O’ Ciosoig dei My Bloody Valentine. Una voce sensuale e diafana, morbidamente graffiante, melodie sinuose, intrecci chitarristici e arpeggi acustici, riverberi di psichedelia e molti echi (blues elettrico, soul) per un affascinante dream pop.


Jim Dickinson – Dixie fried/ The judgement/Casey Jones (on the road again)
James Luther Dickinson (1941-2009), nato in Arkansas e cresciuto tra Chicago e Memphis, è uno dei musicisti più geniali ed eccentrici nonché uno dei segreti meglio custoditi della musica americana. Pianista, autore, cantante e produttore, ha lavorato con grandi e grandissimi. Io ho imparato a conoscerlo e apprezzarlo nella dozzina di album di Ry Cooder in cui compariva, ma Dickinson ha suonato per i Rolling Stones e per Bob Dylan (c’è il suo piano in Wild horses e in tutto quel capolavoro che è Time out of mind), per Aretha Franklin e Sam & Dave, per Hank Ballard, Delaney & Bonnie e legioni di altri. Come produttore, gli devono molto Big Star, Green on Red, Willy DeVille e i Primal Scream sudisti. A suo nome, Jim Dickinson ha inciso poco, e per etichette spesso periferiche, dischi diventati presto di culto. Ora ristampano il bellissimo e alieno Dixie fried (*****), opera prima dell 1972, groviglio inestricabile di rock sudista, folk da licantropi, blues di palude che rilegge e stravolge Tim Hardin e Bob Dylan, Furry Lewis e Merle Haggard, nonché il semidimenticato Carl Perkins della canzone che dà il titolo all’album. L’ho già ascoltato quattro volte senza stancarmi, non ve lo perdete.



Roswell Rudd & Heather Masse– I’m going sane (one day at a time)/ Love is here to stay
Bella storia di musicista, quella di Roswell Rudd, trombonista e molto altro. Nato nel 1935 in Connecticut, laureato a Yale, amico fraterno di Archie Shepp e collaboratore dei principali esponenti del free jazz (Cecil Taylor, Don Cherry, Gato Barbieri, ma anche Steve Lacy), Rudd ha insegnato a lungo etnomusicologia all’università del Maine e ha collaborato per più di trent’anni con il pioniere della disciplina, Alan Lomax. In questo recente August love song (****) dialoga con la voce della giovane Heather Masse, sua vicina di casa, che fa parte del trio folk canadese the Wailin’ Jennys.
Rilassato ed empatico.


Rachele Colombo – Madam carissima/ Cara Nina el to bel sesto
Con la canzone napoletana e la romanza da salotto di ottocentesca memoria, la canzone da battello veneziana è l’antenata più illustre della nostra musica leggera. La cantavano in Laguna, nel ‘700, su gondole e battelli, e talvolta in concerti all’Ospedaletto, esecutori per lo più dilettanti, stregando viaggiatori illustri come Rousseau e Goethe e seducendo musicisti come Mozart e Tartini, Mendelssohn e Rossini. Canzoni per lo più d’amore e corteggiamento, soavi o libertine, quasi sempre toccate da una fresca grazia. La cantautrice Rachele Colombo ne ha trascritte e arrangiate quaranta per questo splendido Cantar Venezia (****), doppio album pubblicato da una piccola e meritoria etichetta discografica di Udine, la Nota di Valter Colle. Imperdibile.


Rag’n’Bone Man – Human
“Keith Richards lo dice sempre: chi ama il blues lo canta con gratitudine. Quando mi conoscono e dicono che dalla voce mi credevano nero mi fanno un bellissimo regalo”. Lui è Rory Graham in arte Rag ‘n’ Bone Man, lo straccivendolo, 31 anni, da Uckfield nel profondo Sud dell’Inghilterra, una barba da islamico e una vita passata a rappare nei pub. Da qualche mese, con una sola canzone che sembra arrivare dal profondo Sud americano, la semplice e sincera Human (***1/2) sulla nostra imperfezione di umani, ha scalato tutte le classifiche radiofoniche, di streaming e di vendita, arrivando a quasi 50 milioni di visualizzazioni su YouTube. Il 10 febbraio esce l’album di esordio, il 30 marzo sarà in concerto a Milano.

Miles Davis – Freedom jazz dance/ Orbits/ Nefertiti
Siamo al quinto volume delle “Bootleg series” di Miles Davis: ovvero la pubblicazione di tutto il materiale registrato nel corso dei trent’anni alla Columbia, comprese le alternate takes e i provini. Il triplo Freedom jazz dance (*****), con le sue ventitré takes, documenta uno dei momenti più alti della carriera di Miles, prima della discussa (e per me fondamentale) svolta elettrica. Gli anni 1966-1967, quelli del cosiddetto Golden Quintet con Herbie Hancock al piano, Ron Carter al contrabbasso,Wayne Shorter al sax tenore e soprano, Tony Williams alla batteria. Tra prove (pochi secchi ordini e via, si parte) e  master, nove brani di sublime bellezza. Ne ho scelti tre fra molte indecisioni, e avrei voluto scegliere tutto.



Kaitlyn Aurelia Smith & Suzanne Ciani – Closed circuit
Una veterana della sperimentazione elettronica, la settantenne Suzanne Ciani, e una giovane compositrice, la trentenne Kaitlyn Aurelia Smith. Si sono conosciute, per una di quelle curiose coincidenze della vita, a un party a Bolinas, cittadina di mare californiana dove entrambe vivono. Sono entrambe affezionate a un sintetizzatore vintage, il Buchla, che arrivò sul mercato negli anni ’60, subito dopo il moog. Hanno cominciato a collaborare e, quando la Rvng di New York ha chiesto loro di incidere il tredicesimo album della serie FRKWYS, hanno provato a “orchestrare l’alba”, il sole che scintilla sull’acqua e le onde che si infrangono. Ne è nata la grande suggestione di Sunergy (****). Non conosco la musicista più giovane, ma Suzanne Ciani era quella che creava gli effetti musicali per i primi videogiochi Xenon e Atari, gli effetti elettronici per Star Wars e alcuni jingle mermorabili per la Coca-Cola, la giovane compositrice che David Letterman presentava al pubblico televisivo nel 1980 come “una maga dell’elettronica”. Enjoy.