Louisiana impietosa tra fiction e documento

In Cinema

Il film di Roberto Minervini, passato da poco al Festival di Cannes, riprende con freddezza marginali d’America e fanatici delle armi. Con uno stile ambiguo

Si spara in Louisiana. C’è chi lo fa imbracciando un mitragliatore rivolto verso un’auto con l’effigie di Obama, chi invece lo fa armato di una siringa che inonda la vena di eroina. Ma lo si può fare anche con l’alcool o con l’amfetamina, o con le chiacchiere sparando cazzate.

Roberto Minervini, talentuoso italiano giramondo, dopo avere realizzato un’apprezzata trilogia documentaria sul Texas, si è spostato nel Nord Louisiana, a West Monroe, per raccontare The Other Side, l’altro lato, il lato B: che non va inteso come ormai ci hanno abituato giornali e tv, ma è invece la parte nascosta, quella meno visibile, il sogno americano guardato dalla porta di servizio se le roulotte potessero averne una, i loosers, i perdenti tanto spesso citati dal cinema e dalla cultura made in Usa, i bianchi poveri rancorosi col mondo.

In quel territorio paludoso e malsano vivono infatti malamente alcune figure che definire marginali potrebbe sembrare già enfatico. Intere famiglie di junkies, ex combattenti alcolizzati, qualcuno ha detto “gente che ha più tatuaggi che denti”, ma anche miliziani armati di tutto punto in attesa che venga dichiarato lo stato d’assedio che loro intendono combattere perché bisogna “legalizzare la libertà”, e perché gli Stati Uniti sbagliano ad andare in giro per il mondo per imporre agli altri modelli di vita.

Minervini punta su Mark il suo obiettivo, gestito dal fedele operatore filippino Diego Romero Suarez-Llanos. La prima volta in cui vediamo Mark è nudo e addormentato lungo una strada. Poi si alza e cammina lungo il bordo, diretto verso casa. La sua compagna è Lisa (sorella di Todd Trichell, padre del protagonista di Stop the Pounding Heart, precedente doc di Minervini, che ha fatto da apripista per questa nuova incursione) e tra i due c’è affetto e dipendenza dalla droga: fumata o iniettata in ogni dove, mentre la coppia vive la sua grama esistenza esponendosi alla macchina da presa in ogni momento, che sia intimo o degradato non importa.

Importa invece a chi guarda, perché l’impressione è che siamo di fronte a qualcosa che va oltre il documentario per sfiorare in modo irriverente e voyeuristico la fiction. Lo sguardo non sembra essere empatico, non traspare pietas, solo documentazione, antropologia che registra comportamenti, come quello di un reduce perennemente ubriaco che butta volutamente a terra una bimba piccola, o ancora la ballerina di lap dance incinta, in bikini e trucco esagerato, che si mostra mentre si buca, prima di esibirsi nuda in cambio di qualche dollaro piazzato dai clienti nei punti strategici. L’impressione è che si cerchi lo stupore, parente stretto della spettacolarizzazione della miseria e del degrado.

E in qualche modo il racconto è tutto tra parentesi. I miliziani in mimetica aprono misteriosamente il racconto e poi li ritroviamo nell’ultima parte, quando si addestrano e sparano per difendere le loro famiglie che credono possano esser messe in pericolo dal potere centrale (che in verità, in nome dei provvedimenti post 11 settembre, ne ha combinate davvero tante per limitare privacy e libertà dei cittadini). Ma questi non sono i paria, i reietti, questa è gente che spende parecchio per procurarsi armi in ossequio al Secondo emendamento, da difendere ad ogni costo. Insomma sono altro da Mark e affini.

Minervini dice che loro si sono mossi discretamente, che i protagonisti li hanno accettati e si sono comportati a prescindere dalla macchina da presa. Ma solo la mamma e la nonna di Mark sembrano essere davvero loro stesse: gli altri appaiono troppo spesso sopra le righe. Del resto, anche un documentario, pur senza voce off o domande rivolte alle persone, compie delle scelte, e la realtà è sempre falsata in nome della narrazione compiuta dal regista. E allora viene alla mente Beasts of the Southern Wild, che metteva in scena una comunità non così dissimile, ma senza pretesa documentaristica.

Louisiana, documentario di Roberto Minervini

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