Incendi: saper ascoltare il silenzio dei migranti

In Teatro

Incendi di Wajdi Mouawad, seconda tappa di una tetralogia dedicata alla memoria, in scena al Piccolo Teatro fino al 25 ottobre

Un modo di cercare la verità è la matematica, la geometria. Ogni lato di un poligono è di fronte a un altro, e così è per i vertici. Ma se questo poligono si chiama famiglia, o guerra, o Storia, ecco che la scienza smette di essere esatta, e si deve far ricorso a un altro tipo di ricerca.

Questa storia inizia quando una giovane donna, Nawal, incide il nome di sua nonna sulla sua lapide. Perché ha imparato a scrivere. Questa storia inizia come la Storia dell’uomo, con la scrittura. Intorno, un paese che non viene nominato (ma che dalla nazionalità dell’autore, Wajdi Mouawad, sappiamo essere il Libano), immerso in una guerra civile che nessuno sa più come sia iniziata e che continua come una faida tragica. Per questa donna l’unico modo per fuggire dalla miseria, per spezzare il filo dell’odio che lega lei a sua madre e questa alla sua, è imparare. Imparare a leggere, scrivere, parlare, contare. Imparare a pensare. E alla fine della vita, dopo aver avuto prima un figlio, che le è stato strappato, poi due gemelli, lascia a questi ultimi, Jeanne e Simon, due lettere da consegnare al loro padre, che credevano morto, e al fratello di cui ignoravano l’esistenza.

Di fronte a richieste simili si può reagire col rifiuto, colla tentazione dell’oblio, o rischiando, accettando una ricerca che comporta responsabilità e forse dolore. E, in ultima analisi, questa è l’unica scelta possibile se non si vuole essere un anello della catena dell’odio, un altro carnefice che diventerà a sua volta vittima. Questo ci dice Incendi, lo splendido testo di Wajdi Mouawad, messo in scena da Sardegna Teatro con la regia di Guido De Monticelli. Che bisogna indagare, imparare ad ascoltare, magari ad ascoltare il silenzio, se è l’ultima cosa che ci rimane. Perché anche il silenzio parla. È questo l’unico modo di fare i conti con una guerra se possibile ancora più priva di senso delle altre, con la propria storia e le proprie radici. Forse, come si dice nello spettacolo, anche noi siamo “all’inizio dell’ultima guerra del mondo”, anche noi ci agitiamo “a dire cosa è barbaro e cosa non lo è”. Allora la ricerca di questi personaggi riguarda anche noi. E Wajdi Mouawad sembra dirci che possiamo contare solo sulla nostra capacità e sul nostro desiderio di comprendere, di non confondere, di distinguere le diverse verità. Anche se alla fine la verità dovesse risultare una sola.

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Quanto alla compagnia, Maria Grazia Bodio, Lia Careddu, Agnese Fois, Corrado Giannetti, Paolo Meloni, Marta Proietti Orzella, Cesare Saliu, Giorgia Senesi, Marco Spiga, Maria Grazia Sughi, Leonardo Tomasi e Luigi Tontoranelli, non c’è altro modo di definirla. Si vorrebbe dire “gli attori”, tanto emozionano e stupiscono con la loro dolcezza e intensità, ma questa è, nel senso più alto del termine, una compagnia, un gruppo che racconta una storia, e se ne ammirano i singoli componenti nello stesso istante in cui li si guarda tutti insieme. E, come nella vicenda narrata ci sono generazioni che si confrontano e vanno alla ricerca di quella verità prima che fa dire: “Adesso che siamo insieme va meglio”, così, sul palco, generazioni diverse di interpreti portano ciascuna il proprio valore e il proprio sapere, anche se la differenza di età si annulla, perde quasi di senso, nell’assistere a questo lavoro comune che è il teatro, che esiste solo in quanto e nella misura in cui è comune, e messo in comune, condiviso con gli spettatori.

In fondo questo spettacolo, in modo non troppo diverso, sta andando in scena in questo stesso istante nella vita di moltissime persone che noi, aiutati in ciò dai vari media, abbiamo buon gioco a confondere nel nome complessivo di “migranti” o di “profughi”, come se una pozzanghera non fosse composta da gocce. E in questo modo scriviamo tutti i nomi di queste persone uno sopra all’altro, così che alla fine non si legge più nulla. Ma chi sa davvero scrivere, ci dice questo spettacolo, chi comprende l’importanza della conoscenza, dell’informazione, non commetterà questo errore. E a chi davvero desidera capire, ricercare una qualche ragione, una qualche verità, questo spettacolo farà venire voglia di imparare a leggere, a scrivere, a parlare, a contare. Di imparare a pensare.

(Foto di Daniela Zedda)

Incendi, di Wajdi Mouawad, al Piccolo Teatro fino al 25 ottobre

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