Il solito “poi ti spiego” del torero

In Copertina Teatro, Teatro

Uno thaumazein di panico e fascinazione quello proposto dalla regia di Claudio Longhi in “Ho paura torero”. Fino all’11 febbraio, al Teatro Grassi di Milano, la possibilità di perdersi nella Santiago di Pinochet, ritrovandosi desaparecidos nel pieno del capolavoro letterario di Pedro Lemebel.

“Era solo questo, solo cortesia, solo il ringraziamento per aver concesso la sua casa e il
suo tempo a quei rivoluzionari senza cuore. In quella posizione, con le ginocchia unite,
rannicchiata a metà scala, sembrava davvero una bambina, lo sgorbio artritico del disamore”. Cita così un estratto del romanzo del 2001 di Lemebel, una tra le penne più fini e interessanti nel panorama letterario ispano-americano contemporaneo. La stessa finezza e potenza che ritroviamo sul palco del Teatro Grassi dinanzi alla maestria di Lino Guanciale, amabile e fluttuante nei panni di un travestito cileno.

Nel primo periodo della sua vita, senza madre, senza casa, la Fata viene accolta da tre
‘madrine’, tra cui la Rana (Michele Dell’Utri), che le insegna il mestiere antico… del ricamo.
Nel furente susseguirsi di ekfraseis oniriche, sulle tavole ricamate dalla Fata, c’è l’idillio
immaginario di generali sanguinolenti che brindano con calici di vino rosso, non curandosi mai della violenza inaudita che sperperano.

La vicenda, nel suo susseguirsi di immagini polverose, di “a parte” e “recitar narrando”, è la
duplice telecronaca delle conseguenze dell’11 settembre 1973 e di un amore realizzato a metà tra la protagonista e il bellissimo Carlos (Francesco Centorame) in una commedia frocesca amalgamata a un dramma storico ancor oggi molto toccante.

In ogni battuta di questa spy story di sentimenti si respira una scena mutuata dalla
repressione del regime di Augusto Pinochet (Mario Pirrello), ma non certo dal disabbandono umano ed empatico di chi si è impegnato a liberare la propria patria dall’odio.
Per lo spettatore è difficile non incantarsi dinanzi alle battute precipitevoli e poetiche della
Fata, parole sempre incastonate dalle solite ansie dismorfiche dell’insicurezza umana, e dal
desiderio di riscatto personale.

Una vicenda che esplode, in mille pezzetti di cristallo, e che risorge grazie alla
drammaturgia di Alejandro Tantanian e le attente revisioni di Guanciale. Uno spettacolo agile, dinamico e vivo, macchiato bene, stavolta, dalla metateatralità degli ingressi e delle scomparse a cassettoni pensati dagli scenografi.
È inevitabile avere paura, e anche lo spettatore, come Lola Flores, è costretto a sussurrare, a
termine dello spettacolo, ho paura torero, ho paura che stasera il tuo sorriso svanisca. E un sorriso di un torero, fidanzato o amante che sia, purtroppo, svanirà sempre.

Vi direi imperdibile, ma, qualora non abbiate già un biglietto – essendo tutto esaurito – lo
perderete eccome. Sarà, evidentemente, per la prossima corrida

Immagine © Masiar Pasquali

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