Un rompiballe di indigesta volgarità

In Teatro

Il rompiballe di Veber ritorna al Teatro della Cooperativa. L’operazione, però, non riesce

Guido Gozzano, in un articolo del 1916, trattando dei rapporti fra il teatro e il nascente cinema, vede in quest’ultimo un’industria che ha bisogno dell’arte, e suggerisce che questo fenomeno “ricorda quella mosca parassita che penetra nella crisalide delle nostre più smaglianti farfalle, vi soggiorna, se ne nutre, pur non uccidendole, ma sostituendosi a poco a poco”.

Qualcosa di simile accade in questo allestimento de Il rompiballe (L’emmerdeur) di Francis Veber, con Max Pisu e Claudio Batta, cui danno man forte Stefania Pepe, Roberta Petrozzi, Claudio Moneta e Giorgio Verducci, diretti al Teatro della Cooperativa da Marco Rampoldi.

La comicità del testo di Veber, infatti, si basa tutta sulla situazione: un killer deve uccidere un testimone scomodo sparandogli da una camera d’albergo, ma nella stanza accanto c’è un fotografo disperato, abbandonato dalla moglie, che vuole suicidarsi. Questa semplice premessa porta a un susseguirsi di complicazioni esilaranti che, naturalmente, impediranno al sicario di portare a termine il suo compito. Una trama semplice ed efficace, da teatro comico puro. E chi la volesse vedere agita in modo impeccabile potrà godere della versione cinematografica del 1973 diretta da Édouard Molinaro, con i grandissimi Lino Ventura e Jacques Brel. O di Buddy Buddy, riedizione americana firmata da Billy Wilder e interpretata dalla mirabile coppia Lemmon-Matthau – che fu un flop ai botteghini.

La situazione è dunque la farfalla, l’anima di questa pièce. La mosca che in questo allestimento penetra nella sua crisalide sostituendosi ad essa, dispiace dirlo, è la volgarità. Lo spettacolo, infatti, che fin dall’inizio soffre di un ritmo molto basso e di mancanza di tensione scenica, sottopone il pubblico a un martellamento pressoché ininterrotto di gag banali, divagazioni, siparietti, oltre che a una serie di parolacce e imprecazioni davvero impressionante. Sarebbe interessante calcolare ogni quante parole, in questa versione probabilmente rimaneggiata del testo di Veber, è presente una volgarità. Inutile dire che, come tutte le volgarità e i luoghi comuni, anche questi sono assolutamente gratuiti. Basti pensare ai momenti in cui i protagonisti vengano sorpresi dalla cameriera in pose involontariamente erotiche, o al personaggio del medico tedesco che si esibisce in un accento simil – germanico, arricchito dai vari “nein” e “jawohl”. O alle infinite tirate interrotte alla fine dal classico “bastaaa”.

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In tutto ciò, va da sé, la situazione passa in secondo piano, continuamente messa fra parentesi e costretta a ingoiare a forza una valanga di ammiccamenti e battutine scontate che denunciano la sfiducia nella situazione stessa, la quale di per sé non avrebbe assolutamente bisogno di essere sostenuta da alcunché.

Per provocare la reazione divertita del pubblico qui ci si affida completamente a questi piccoli espedienti, rendendo quasi invisibile la stessa struttura comica del testo. Infatti, assordati dalle mosche, ci si dimentica a tratti chi siano i personaggi e cosa stiano facendo sulla scena. Altro indizio di questo è il fatto che qui il rompiballe sembra divertito, gigioneggia, come se facesse apposta a tormentare il povero killer e provasse gusto ad assillarlo senza sosta. Ma ciò che fa ridere è proprio l’opposto. Il rompiballe, sconvolto e candido, è del tutto inconsapevole di quanto stia innervosendo la sua controparte. Lo stesso killer, in questa messa in scena, appare spesso dimentico del proprio compito, si lascia coinvolgere quasi completamente dal seccatore, e dunque, ancora una volta, va contro la situazione, vanificando gli spunti comici del testo.

In definitiva ciò che vediamo in scena non sono dei personaggi ma degli attori che semplicemente esibiscono un repertorio di battute, doppi sensi e turpiloqui.

Sorge allora una domanda: perché questo testo? Se ciò con cui si vuol fare ridere non ha nulla a che fare con la pièce di Veber, e anzi rischia di soffocarla, relegandola a mero contenitore di gag e parolacce, a che pro scegliere di metterla in scena? A che pubblico è rivolto questo spettacolo?

Tralasciando di chiedersi se la volgarità, esibita e ripetuta, possa essere definita comicità (ai posteri l’ardua sentenza), perché utilizzare il teatro per mettere in atto questa operazione?

 

IL ROMPIBALLE, di Francis Veber, regia di Marco Rampoldi, al Teatro della Cooperativa fino al 25 ottobre

 

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