Il nuovo Pavarotti? È un ragazzino di banlieue

In Cinema

“Una voce fuori dal coro” è l’ottimo esordio da regista di Yohan Manca, che nel raccontare una storia di periferie (ormai un vero filone nel cinema di Francia), tutt’altro che banale, trova in Mael Rouin-Berrandou un eccellente protagonista. Lui vive ai margini di una piccola città del caldo sud, è orfano di padre e accudisce con amore la madre in agonia. Una vita triste e dura, tra rabbia e speranza, finché incontra una insegnante di canto che scopre in lui un vero potenziale artistico.

Nour ha quattordici anni, è l’ultimo di quattro fratelli, e non è nato nel posto migliore del mondo. Vive in un quartiere miserabile alla periferia di una città francese, Sète, che ai turisti pare molto affascinante, distesa com’è sull’orlo sabbioso della Francia calda e mediterranea, ma vista da vicino offre squarci e visioni tutt’altro che rassicuranti. È orfano di padre, Nour, e assiste ogni giorno alla tristissima agonia di una madre che la malattia ha ridotto a un vegetale, una povera creatura sprofondata nel coma, accudita amorevolmente da una famiglia tutta maschile e altamente disfunzionale, eppure capace di grande affetto e immensa tenerezza, nonostante la quantità di energia profusa nella pura e semplice arte della sopravvivenza. 

Ma un giorno Nour incontra Sarah, un’insegnante di canto che per caso scopre la potenza della sua voce (sentendolo cantare un’aria della Traviata, nel tentativo spavaldo ma tutt’altro che sciocco di imitare Pavarotti), e lo coinvolge in un corso dove si studia la musica lirica, una passione che ha ereditato dal padre di origini italiane. Forse quelle poche ore di bellezza, strappate al bisogno e alla stanchezza, rappresentano un’opportunità, la possibilità di un futuro diverso, ma potrebbero anche essere semplicemente un diversivo, un momento di alleggerimento all’interno di un destino preordinato e pesante, fatto di fatica quotidiana e di totale assenza di garanzie. Nour non lo sa, come andrà a finire, e neanche lo spettatore. E proprio questa indeterminatezza è ciò che rende questo film emozionante. 

L’intera azione si svolge fra la fine della scuola e l’inizio del nuovo anno scolastico, in una lunga estate calda che si nutre di sogni e di paure, di rabbia, dolcezza e speranza, seguendo un passo dopo l’altro il destino ondivago e incerto del giovanissimo Nour (uno straordinario Maël Rouin-Berrandou), in bilico sull’orlo ombroso dell’adolescenza, fra slanci meravigliosi e rabbiose cadute.

Il cinema di banlieue è ormai un vero e proprio filone, in Francia, fin dai tempi dell’Odio di Mathieu Kassovitz, e negli anni ha prodotto più di un film banale, adagiato nel tentativo di offrire facili vie d’uscita alla disperazione delle periferie. Non così il lungometraggio d’esordio di Yohan Manca, capace di graffiare la superficie del reale e sottrarsi ai facili ottimismi, ma evitare al tempo stesso la disperazione programmatica. E lasciarci alla fine con in bocca il gusto dolce del possibile. Niente di più, niente di meno.

Una voce fuori dal coro di Yohan Manca, con Maël Rouin Berrandou, Judith Chemla, Dali Benssalah, Sofian Khammes, Olga Milshtein

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