Se è Giuda a mostrarci la via

In Teatro

Il dramma del capolavoro che svanisce e la storia del suo restauro: uno spettacolo (con Sonia Bergamasco) che è un inno all’arte, all’umano e al coraggio

Il 14 maggio 1947 Giorgio Strehler, Paolo Grassi e sua moglie Nina Vinchi Grassi fondarono il primo teatro stabile italiano: il Piccolo Teatro. Il 22 giugno dello stesso anno Fernanda Wittgens veniva nominata Soprintendente alle Gallerie di Milano, sostituendo il defunto Ettore Modigliani e portandone avanti la missione in difesa dell’arte. La guerra ha lasciato una Milano distrutta, i bombardamenti del 1943 hanno colpito monumenti e palazzi: il Palazzo di Brera, il Castello Sforzesco, il Museo Poldi Pezzoli, la Biblioteca Ambrosiana, il Teatro alla Scala… sono solo alcuni dei luoghi danneggiati dagli attacchi.

“Si chiama incursione aerea terroristica se l’obiettivo non è una fabbrica, un ponte o altro obiettivo militarmente strategico. Si chiama incursione aerea terroristica se l’obiettivo dei bombardieri è: tutto.”

In questo clima di distruzione e paura, subito dopo la fine della guerra, Strehler, Grassi e la Wittgens hanno lo stesso obiettivo: ripartire dall’arte, salvare la bellezza di una città ferita e condividere quel patrimonio immortale che sono la cultura e la storia quando si fanno genio.

La voce di Sonia Bergamasco ci accompagna in questa missione: tra appunti della Wittgens, lettere, documenti ufficiali, comunicati, articoli di giornale, sentenze e polemiche. Ne Il miracolo della cena l’attrice si fa portavoce della donna protagonista ma allo stesso tempo riesce a raccontarne la storia come un dialogo, intrecciando la sua biografia alle vicende di Milano e al sofferto restauro del Cenacolo.

Foto © Masiar Pasquali

La regia di Marco Rampoldi ci restituisce un affresco poetico delle lotte di potere che rallentarono il lavoro di Pelliccioli, che si assunse a titolo gratuito la responsabilità del Restauro del Cenacolo. Infatti, nonostante fosse uno dei monumenti a cui era stata dedicata la protezione antiaerea e nonostante si fosse salvato ai bombardamenti che avevano polverizzato il refettorio, nell’agosto del 1943 le sue condizioni risultavano gravissime.

Ettore Modigliani scriveva proprio in quel periodo: “debbo, purtroppo, comunicare che se il Cenacolo è salvo, è ben lontano dall’essere quello che era”. E il vero centro dello spettacolo è proprio la vittoria di Pelliccioli, che è in realtà la vittoria della Wittgens, di Milano e dell’arte, che riuscì (veramente contro ogni previsione) a riportare il Cenacolo allo splendore di un tempo e non semplicemente alle condizioni in cui si trovava prima della guerra. La bravura del restauratore ha permesso un viaggio nel tempo e nel 1954, quando l’opera di Pelliccioli è terminata, tutti i colori di Leonardo, il suo azzurro, il suo rosa, il suo rosso pieno, sono di nuovo visibili.

Incredibile che il vero punto di svolta del restauro sia stata la mano di Giuda: dal traditore di Cristo è arrivata la prova che rendeva ridicole le illazioni sulla perdita del colore originario, la testimonianza che quel rosato risaliva davvero a Leonardo e che Pelliccioli aveva sempre avuto ragione. Grazie a Giuda tutte le recriminazioni e le polemiche crollano, e sul Corriere della Sera Leonardo Borgese scrive: “La disgraziata tempera di Leonardo sembra ora resuscitare. Tratto a tratto. Casta e pallida. Pura.”

Il miracolo è davvero compiuto e il capolavoro del primo pittore “cosmico” è salvo: lo spettacolo si conclude con la riflessione di Fernanda Wittgens sull’importanza del Cenacolo come valore artistico assoluto, che concilia arte e scienza, sublime e vita, conquista e polemica. Perché, alla fine, tutta la storia di questo capolavoro non è altro che una meravigliosa testimonianza della bellezza dell’umanità quando è in lotta per qualcosa.

… passo la fiaccola della “socialità dell’arte”, che io ho tentato di accendere uscita da San Vittore, avendo compreso là nella sua interezza il problema umano. Vale a dire che ovunque, persino nella galera, può essere salvato “l’umano” dal “bestiale” e che l’arte è forse una delle più alte forme di difesa dell’“umano”.
Fernanda Wittgens

 

 

 

Immagine di copertina © Masiar Pasquali

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