C’è sempre un corvo che vola in cielo

In Letteratura

Nel libro di Kader Abdolah, il corvo accompagna il protagonista nel suo esilio dalla favolosa terra delle Mille e una notte alla Amsterdam multietnica e razzista

«Nei racconti della tradizione persiana c’è sempre un corvo che vola in cielo».  Pubblicato da Iperborea nel 2013 e adesso ristampato in 20 mila copie dall’aie per il progetto #ioleggoperchè, Il corvo, nuovo libro di Kader Abdolah, accompagna il protagonista Refid Foaq nel suo esilio dalla favolosa terra delle Mille e una notte, dalla dittatura dello scià, dalla rivoluzione, dalla dittatura di Khomeini, alla strana Amsterdam, multietnica e razzista, mille opportunità e mille delusioni. Il Corvo, custode della millenaria cultura, ricorda il passato e vede i nuovi orizzonti.

«Faccio il sensale nel ramo del caffè, e abito in Lauriergracht n. 37. Non è mai stata mia intenzione vendere caffè, ma così ha deciso la vita. Vengo da quella che un tempo si chiamava Persia, il paese degli antichi re, dell’oro, dei tappeti volanti, delle donne bellissime e di Zarathustra».

Refid Foaq, come Kader Abdolah, ha sempre voluto fare lo scrittore, si è dovuto adattare a mille mestieri e relegare la sua passione ai ritagli di tempo, alla notte. Finalmente adesso c’è riuscito.

Solo scrivendo può far conoscere la storia della sua gente, mantenere in vita le meravigliose poesie persiane, riscriverle in olandese, mischiare i due mondi, le due culture, come è stato per lui. Questo è il senso della sua vita e dei suoi romanzi.

L’aspetto che rende speciale Kader Abdolah è che testimonia di un’immigrazione diversa dai soliti cliché di emarginazione, violenza, sconfitta; non che non ci siano, ma insieme c’è la volontà di farcela, di non cedere alla sopraffazione, certo qualche compromesso è inevitabile, ma possiamo farcela. La poesia, l’amore, la bellezza aiutano.

Dobbiamo ricordarli, cercarli dappertutto, riconoscerli quando li incontriamo e farli rivivere. Come quando Refid ci confessa di aver ricopiato diciassette volte i primi versi della poesia Maggio di Herman Gorter, un classico della poesia olandese. «Mi sento quasi morire di gelosia per non essere stato io invece di Herman Gorter a scriverla».

E la natura che il poeta olandese descrive è la stessa di Hisfahan, la più bella, la più misteriosa delle citta dell’Iran; la fanciulla di cui si innamora assomiglia al primo amore di Refid.

I ricordi delle letture, degli affetti famigliari si intrecciano con le vicende storiche. Refid nasce «il giorno in cui la CIA aveva fatto il colpo di stato nella mia patria. L’America aveva deposto il nostro Primo ministro democraticamente eletto e rimesso sul trono lo scià». Fanno di tutto per americanizzare la Persia; la repressione è durissima.

Da ragazzo collabora con un giornale clandestino di sinistra: «I miei libri americani ed europei cedettero il posto ai russi». Poi la speranza della rivoluzione, il ritorno di Khomeini e la fuga. Prima in Turchia. «Tutti i clandestini erano alla ricerca di un trafficante di esseri umani… Chi poteva pagare di più veniva mandato nei posti migliori». Diecimila per New York, novemila per Londra, giù giù fino ai duemila per l’Olanda. Nessuno voleva andarci, non si sapeva neanche dove fosse.

Arrivato, non si rassegna ad aprire il solito negozio di kebab: si lancia nell’avventura del caffè, perché nessuno degli immigrati lo fa; perché intravede una possibilità. Ci riesce e intanto scrive.

Il corvo di Kader Abdolah (Iperoborea, 128 pp.)

Immagine Crow and Hawk di John Curley

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