I doni mitologici di Maria Positano, tra memoria e mondi possibili

In Arte

Nashira Gallery ospita nei nuovi spazi di via Valpetrosa a Milano “Not from this place”, la prima personale in Italia di Maria Positano, artista di origini napoletane, nata nel 1995 a Londra dove vive e lavora. In un affascinante intreccio tra mito e storia l’artista costruisce un linguaggio visivo in cui riferimenti a epoche e riferimenti culturali differenti invitano l’osservatore a rivalutare ciò che costituisce forza e resilienza, sfidando le nozioni binarie di vulnerabilità e invulnerabilità.

I doni possono essere presentati e presentarsi in molti modi. Non a caso presentarsi evoca il presente come dono: tutto un intreccio per raccontare qualcosa che ci è offerto, accompagnato da un senso enorme di gratitudine, che è differente dal regalo, che significa letteralmente “dono al re”, che restringe il campo a un regnante di cui oggi facciamo volentieri a meno.
Il dono ha a che fare, tra le altre, con una dimensione mitologica, pensate ad Atena che dona a Perseo uno scudo lucidato a specchio per non guardare Medusa direttamente negli occhi, non farsi pietrificare; pensate alle armature che i più grandi eroi hanno ricevuto per combattere le più gloriose battaglie – Achille da parte di Teti, per sconfiggere Ettore. È impossibile intendere questi come semplici omaggi, sono legami indissolubili, permettono di cambiare il corso delle storie, le storie multiple che si intrecciano continuamente nella culla del mito.
Storie multiple. Quanto splendore, quanti luccichii.

Maria Positano, Gunè Eufosìa, 2024, foto m3studio


Il fascino dei miti ci permette di vivere tra due mondi apparentemente ben distinti: quello terreno e quello olimpico, con la sua serenità, con la sua calma e privo dei fastidi umani, ultraterreno di fatto. Accorgendoci in un secondo momento che non è poi così distante dal nostro, invaso anch’esso da passioni simili: un continuo intreccio tra la meraviglia che scaturisce da un mondo che non possiamo toccare ma a cui possiamo comunque aspirare: pensiamo a Hercules (nella nostra fantasia di bambine e bambini degli anni novanta e i nostri cartoni Disney). Quindi più ci addentriamo e più scopriamo che in fondo noi e gli dei siamo più interconnessi del previsto. E cosa provoca questa sensazione? Da un lato aumenta le nostre aspirazioni, la nostra tendenza verso questo mondo lontano, ma allo stesso tempo la frustrazione di non poterlo raggiungere, perché non abbiamo la forza e gli strumenti che servono: non saremo sicuramente scelti da Teti per ricevere una bella armatura, il corredo della vittoria. Questo non è un problema, perché per fare questo salto noi ci serviamo di altri strumenti, di cui sicuramente l’arte è rappresentante primaria.

Maria Positano, Histrionic Armis, 2024, foto m3studio

Penso che le corazze di Maria Positano facciano esattamente questo, possiamo vestirle e trasmutare in nuove identità, trasformarci in ibridi che ci avvicinano al nostro personale Olimpo, attraverso di esse comprendiamo di non essere fissità, immobilità, ci muoviamo nello spazio e, a volte, abbiamo bisogno di nuove gambe; le stesse gambe che Positano ci offre per camminare meglio, o forse per immaginare nuovi modi di camminare: con le mani anziché con i piedi e non ci importa avere la certezza che lo stiamo facendo bene, perché cambiamo il significato stesso del “fare bene”. Il nuovo scudo, la nuova corazza ci veste di nuove identità, di nuove forme: cambiano la sostanza a ogni cosa. Un abito che ci permette di abitare nuovi spazi che diventa un’affermazione perentoria: io abito. Sono quello che indosso e posso indossare quello che voglio, tre gambe, sei seni, serpenti al posto dei capelli. Sono trasformista. Il mio corpo non può non essere vivido, nutrito. Positano con la precisione di una chirurga, con la maestria di una cartotecnica, con l’esperienza della vasaia, trasforma la carta in pezzi di corpi nuovi, l’argilla in nuovi organi. L’approssimarsi alla vita olimpica, in questo modo, si assottiglia sempre di più e, ad un certo punto, ci rendiamo conto di non aspirare più all’Olimpo, ma ad un terzo mondo, dove le passioni degli dei non ci interessano più.

Maria Positano, Domus, 2024, foto m3studio


È esattamente in questo modo che Maria Positano realizza il suo dono per noi. Un dono che si presenta sotto forme che crediamo di conoscere, ma che qui sono evocative di mondi che non attingono esclusivamente al nostro, ma allo costruzione di mondi possibili, dove non è più necessario che uno scudo e un’armatura ci proteggano da alcunché, non subiremo un attacco da Medusa, saremo felici di indossare gli scudi come abiti di festa, di ballare attorno a delle fontane d’acqua che ci ricordano ere passate, le nuove armature non avranno più la necessità di essere pesanti: unico difetto, per altro, dello scudo di Atena. Non sono più necessarie divisioni manichee, ma tutto – i nostri immaginari, le nostre storie, le nostre culture – si ibridano per un nuovo equilibrio di forze.

Mi affido alle parole di Italo Calvino in Lezioni americane, per conclude questa riflessione:
Meglio lasciare che il mio discorso si componga con le immagini della mitologia. […] Ma so che ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca: coi miti non bisogna avere fretta; è meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini. La lezione che possiamo trarre da un mito sta nella letteralità del racconto, non in ciò che vi aggiungiamo noi dal di fuori.
È così che accetto il dono che mi viene offerto, affidandomi ai nuovi miti.

Maria Positano, Not from this place, Nashira Gallery, Milano, fino al 29 maggio 2024

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