Con Pia, dentro il suo giardino

In Weekend

Una giardiniera scrittrice, malata di Sla fa i conti in un libro bellissimo con la morte che si avvicina e con il senso più profondo della vita. La sua, quella di tutti

Non è mai facile scrivere di qualcosa che hanno fatto persone che si conoscono. Ancora di più lo è se queste persone sono veri amici. Ma ci sono momenti nella vita in cui è d’obbligo mettere da parte le titubanze, i timori, le paure e non ci si può sottrarre a un doveroso imperativo categorico. Se poi lo si fa per qualcosa di non solo bellissimo, ma che ha anche segnato una profonda riflessione nella propria vita, ci si rende allora conto che l’esporsi porta sempre frutti. E fiori.

Ed è proprio il caso di dirlo qui, dello struggente libro Al giardino ancora non l’ho detto di Pia Pera, editore Ponte alle Grazie. Per due motivi: perché Pia è una cara amica e perché il suo libro, che prende il titolo da una poesia di Emily Dickinson, obbliga innanzitutto lei, ma poi anche tutti noi che leggiamo, a interrogarsi sulla morte. O forse ancor di più, sulla vita. Pia Pera ha la Sla e non ha ancora detto al suo giardino, e al suo cagnolino Macchia, che un giorno – e non un giorno ipotetico – non ci sarà più nessuno a prendersi cura di loro. A loro, alla mela che sa di ananas e di cui non ricorda il nome, “ai rami della rosa Hume’s Blush, nuda e potata, luccicante sotto la galaverna resa già morbida dal sole mattutino”, all’amica Marinella conosciuta per mail e colpita dalla sua stessa malattia, a tutti noi, con immensa grazia, Pia insegna (parola che sicuramente non le piacerebbe ma così è) che “Forse questo bisogna fare nel tempo che resta. Non disperderlo in tentativi vani, ma concentrandosi sfrondare, più che mai sfrondare. Accettare serenamente la fine.”

Al giardino ancora non l’ho detto è un libro che molti dovrebbero leggere. Soprattutto quei molti, e davvero sono molti, che si affannano in una continua ricerca di visibilità, di riconoscimento, di successo. Che conforto le parole di Pia: “Quanto ci diamo da fare per mostrarci unici, costruire un individuo fuori dall’ordinario. Quanta resistenza all’idea di restare invece indefiniti. Confondibili con il resto. Non venire notati, scomparire inosservati. Che paura! Mentre un saggio aveva suggerito: vivi nascosto”.

Pia Pera, raffinata scrittrice e traduttrice dal russo, è esperta giardiniera-botanica che sente nel suo bellissimo giardino il luogo più amato – in fondo è solo il caso, o il destino o, per chi crede, una mano divina che fa di un albero un albero e di una persona una persona –  e dal suo giardino è riamata. Perché quel posto dove “il mio intento era stato cancellare, o quanto meno smorzare, le mie stesse tracce, gli indizi che avrebbero potuto sottolineare un progetto, un’intenzione”, per riuscire a “trasmettere un senso di fusione con la natura, di naufragio in un paesaggio più vasto”, adesso che lei è malata le dà “una serenità per la prima volta vera e profonda”. E le permette di dire “…anche solo guardare il giardino in questa giornata calda di primavera è stato bellissimo, allora ho capito: qui mi fermo. Quello che ho davanti è l’attimo per attimo…Ringrazio, prima di addormentarmi, della vita che ho avuto, io che venivo dal nulla. Dal non essere, eppure ho potuto vedere e conoscere tutto questo”.

E farlo vedere e conoscere a tutti noi: un regalo grande e generoso che può aiutarci a pensare, con i versi della Szymborska che Pia Pera cita nel suo libro “Non c’è vita/ Che almeno per un attimo/ Non sia stata immortale”, e rendere così la nostra vita più lieve. Anche se non si ha un giardino o forse nemmeno un fiore in un vaso, non è forse questo amore?

Immagine di copertina bDom

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