E il sogno si fa grande spettacolo: Hollywood secondo Chazelle

In Cinema

Follia collettiva e autoironia dissacrante, dialoghi surreali e perfezione delle immagini. C’è questo e tanto altro ancora negli inarrestabili 189 minuti di “Babylon”, che racconta i ruggenti anni ’20 della nascita e dei primi trionfi della “Mecca del cinema”. Cento anni dopo sono protagonisti di quei racconti leggendari, Brad Pitt, Margot Robbie e la musica travolgente di Justin Hurwitz. Ma su tutto e tutti troneggia una nuova straordinaria prova del regista di “La la Land” e “Whiplash”

Il caso vuole che, quest’anno, il rientro post-natalizio nelle sale di proiezione regali allo spettatore due lungometraggi per certi versi simili, eppure diametralmente opposti, ovvero The Fabelmans di Steven Spielberg e il nuovo Babylon di Damien Chazelle. Stessa durata monumentale (due ore e mezza il primo, tre ore il secondo) e soprattutto stessa pretesa di mostrare, attraverso l’epopea dei loro personaggi, la storia e la meraviglia del cinema. Eppure, se per Spielberg la narrazione semi-autobiografica della formazione artistica del protagonista pare più la scusa per una recherche du temps perdu freudiana, un po’ ruffiana e terribilmente mélo, Babylon è invece il tripudio di immagini dell’allievo che supera il maestro. Se c’è infatti una cosa che si può affermare dell’enfant prodige autore di Whiplash e La La Land (due Golden Globe e un Oscar), ma anche del delicato e meraviglioso racconto dello sbarco sulla Luna in First Man, è proprio la capacità di giocare con ogni genere cinematografico, regalando opere iconiche ma dalla cifra stilistica inconfondibile, come solo i grandi registi sanno fare. 

In effetti, nei 189 minuti di inarrestabile cavalcata meta-cinematografica c’è davvero un po’ di tutto: i momenti di follia collettiva in musical alla The Great Gatsby di Baz Luhrmann, l’autoironia dissacrante del Tarantino di C’era una volta … a Hollywood o dei Coen di Ave, Cesare!, e soprattutto quell’incastro di dialoghi serrati e surreali che fa tanto Martin Scorsese (e infatti, nel cast di comprimari, allo spettatore più attento non sfuggiranno i volti già visti in The Wolf of Wall Street…). A questo, però, il regista e sceneggiatore trentasettenne aggiunge la solita, personalissima cura dell’immagine in ogni dettaglio e inquadratura, riuscendo a valorizzare al meglio qualunque sfumatura di recitazione dei suoi attori protagonisti.

E se l’impresa è riuscita ben due volte con lo storicamente monoespressivo Ryan Gosling, la miscela di due interpreti di ben altra caratura come Brad Pitt e Margot Robbie non può che produrre risultati esplosivi. Lui, quasi sessant’anni e non sentirli, gioca ovviamente in casa nei panni del celebre viveur hollywoodiano, schizofrenico e autodistruttivo, incapace di stare al passo dei tempi che cambiano, dentro e fuori dal set. Ma la vera stella attorno a cui ruota l’intero sistema costruito da Chazelle è proprio la Robbie: nonostante un curriculum già più che dignitoso (due nomination agli Oscar e tre ai Golden Globe, l’ultima proprio per Babylon), la prossima Barbie in live action raggiunge qui livelli di talento e fascino mai esibiti prima con una simile naturalezza ed esuberanza, tanto da eclissare il pur bravo Diego Calva, co-protagonista all’esordio in una produzione a stelle e strisce. 

Intorno a loro, ruota senza mai fermarsi l’industria cinematografica degli anni Venti, un freak show dell’eccesso sospinto e scandito da una musica travolgente, composta dal fedelissimo Justin Hurwitz (già dietro allo spartito in ogni altra fatica di Chazelle) e giustamente premiata proprio agli ultimi Golden Globe come miglior colonna sonora originale. È stato l’unico riconoscimento in una serata che ha visto Babylon uscire sconfitto su tutti gli altri fronti, rispecchiando un risultato al botteghino statunitense fin qui decisamente deludente.  Eppure, in questa “Babilonia” più simile a Sodoma e Gomorra, tra sesso, droga e swing c’è spazio per almeno tre o quattro momenti di pura poesia: la lunga carrellata di immagini finale, come anche alcune battute e monologhi in un copione che rasenta la perfezione, sono tra le più autentiche e sentite dichiarazioni d’amore per la magia del cinema mai apparse su pellicola. 

Certo, può scoraggiare la durata (che però pare una prassi ormai sempre più diffusa anche tra i lungometraggi mainstream), ma non c’è praticamente mai, nelle tre ore e dieci, un vero e proprio attimo di tregua. E dopo aver archiviati con le festività i quasi duecento minuti di Avatar – La via dell’acqua e gli evitabilissimi centocinquantuno di The Fabelmans, per chi avesse ancora voglia di investire un’altra serata abbondante e riscoprire il fascino della “fabbrica dei sogni” hollywoodiana, il film di Damien Chazelle è di quelli su cui puntare a occhi chiusi. Anzi, tenendoli bene aperti, per non perdersi nemmeno un secondo dello spettacolo che, nonostante tutto, il grande schermo riuscirà sempre a regalare.

Babylon di Damien Chazelle, con Margot Robbie, Brad Pitt, Diego Calva, Jovan Adepo, Li Jun Li, Jean Smart, Tobey Maguire, Katherine Waterston, Flea

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