Divine e avanguardie. Arte russa, al femminile

In Arte

In Palazzo Reale una selezione di opere russe, prevalentemente ottocentesche e primo-novecentesche, racconta le raffigurazioni femminili in pittura e i contributi di alcune protagoniste delle avanguardie russe.

Nel caso delle mostre organizzate al Palazzo Reale di Milano, le riaperture al pubblico avvenute a partire dal mese di maggio si sono svolte all’insegna della proroga di iniziative che avrebbero dovuto terminare a fine inverno o a inizio primavera. Ciò è avvenuto alle due esposizioni inserite nel palinsesto intitolato I talenti delle donne e promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano. Si tratta della mostra Prima, donna, sulla produzione fotografica di Margaret Bourke-White, aperta a fine settembre 2020 e prorogata sino al termine di agosto 2021, e della mostra Divine e avanguardie. Le donne nell’arte russa, aperta a fine ottobre 2020 e prorogata sino a settembre 2021.

Mikhail Larionov, Venere, 1912. St. Petersburg, The State Russian Museum

In quest’ultima figurano una novantina di opere, ripartite in otto sezioni e provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo: grande protagonista risulta essere la donna stessa, intesa sia come soggetto artistico, sia come esecutrice. Si dichiara infatti apertamente nella locandina dell’evento che le due direttrici che orientano l’esposizione sono costituite «da un lato [dal]la donna e [da]l suo ruolo nella società con sante e madonne, imperatrici, contadine e operaie, intellettuali e madri ritratte dai grandi maestri: Il’ja Repin, Boris Kustodiev e Filipp Maljavin, il suprematista Kazimir Malevič e i maestri degli anni Dieci e Venti del Novecento, Aleksandr Dejneka, Kuzma Petrov-Vodkin, autore del ritratto della poetessa Anna Achmatova, solo per citarne alcuni. Dall’altro le donne artiste, “le amazzoni dell’avanguardia russa”, donne protagoniste di una atmosfera culturale, storica e sociale straordinaria, attive nei primi trent’anni del Novecento quando crearono opere originali e innovative: Natalia Gončarova, Ljubov Popova, Aleksandra Ekster e ancora artiste del realismo socialista come la scultrice Vera Muchina».

La mostra Divine e avanguardie si propone quindi di soffermarsi dapprima sui soggetti femminili nella pittura contemporanea russa (per come essi sono stati raffigurati a partire dalla linea stilistica ancora debitrice nei confronti dell’accademismo sette-ottocentesco, fino ad arrivare all’avanguardismo novecentesco), e di passare poi all’operato di quelle pittrici che si segnalarono, contemporaneamente alle poetesse della cosiddetta epoca d’argento della poesia russa (su tutte, la già citata Achmatova e Marina Cvataeva), tra le massime interpreti del sentire artistico russo dell’inizio del XX secolo.

Ekaterina Chilkova, Veduta interna della sezione femminile della scuola pietroburghese di disegno per allieve uditrici, 1855. St. Petersburg, The State Russian Museum

L’impressione a seguito della visita alla mostra è quella di aver assistito a una vasta panoramica su una pluralità di soggetti, di temi e di stili (su quest’ultimo aspetto si dirà qualcosa in chiusura) inerenti alle peculiarità tipiche della cultura russa. Conseguenza di uno sviluppo storico dotato di una specificità particolare, l’identità culturale e nazionale russa si è infatti contraddistinta (e si contraddistingue tuttora) per una individualità ben marcata e, per certi versi, a sé stante, se paragonata all’orizzonte delle diverse culture europee.

Tuttavia, non per questo sono mancate aperture da parte del paese verso l’esterno: un ampliamento di prospettive per la cultura della Russia zarista fu permesso dal regno di Pietro I della nota e sfortunata (data la fine che le toccherà durante la rivoluzione del 1917) dinastia Romanov. Fu infatti lo zar Pietro I (al trono dal 1682 al 1725) ad aprire per la prima volta il paese alle tendenze al tempo cosiddette occidentaliste e a consentirgli un maggiore contatto con le istanze socioculturali che si diffondevano nell’Europa dell’epoca.

Una ulteriore novità per la Russia fu costituita poi, come viene ricordato nella mostra, dai diversi periodi di mantenimento del potere da parte femminile. Non è potuto dunque mancare nell’esposizione il ritratto, eseguito da Dmitrij Levickij, di quella che fu probabilmente la personalità politica più nota nella Russia del Settecento: Caterina II (1729-1796).

Dopo una piccola sezione dedicata all’arte sacra dei secoli XVI e XVII, debitrice della ieraticità dell’arte greco-bizantina, compaiono così nella prima parte della mostra i ritratti di sei delle quattordici zarine che regnarono fra la fine del Seicento e il 1917. Accanto a questi ritratti, si presentano poi quelli raffiguranti le donne comuni. Ecco allora che si notano soggetti inerenti sia alla ritrattistica privata (come, ad esempio, il ritratto, realizzato dal padre stesso nel 1886, della figlioletta di uno fra i principali pittori russi otto-novecenteschi, quell’Il’ja Efimovič Repin che fu amico di Tolstòj e lo raffigurò in più di una ventina di opere ripartite fra bozzetti e ritratti) sia al genere del nudo (è il caso di Banja, del 1913, di Zinaida Serebrjakova) sia alla resa di interni (come Veduta interna della sezione femminile della scuola pietroburghese di disegno per allieve uditrici, del 1855, di Ekaterina Chilkova).

Kazimir Malevich, Operaia, 1933. St. Petersburg, The State Russian Museum

Si situano accanto a questi contributi figurativi continuatori della tradizione accademica poi anche tele che, nella raffigurazione delle donne, si distaccano da tale tendenza – gli esempi al riguardo possono essere molti: ci limitiamo a citare il ben noto Kazimir Malevič, fondatore del suprematismo a partire dal 1916 e presente con più tele raffiguranti donne contadine e operaie.

L’attenzione preponderante verso le avanguardie emerge invece nella seconda parte del percorso espositivo, in particolare nelle ultime cinque sale. L’attenzione qui si sposta, come detto, sulle cosiddette «amazzoni dell’avanguardia russa», definizione attribuita alle già citate Gončarova & co. dal poeta e poi traduttore Benedikt Livšic nel suo volume di memorie sul futurismo in letteratura e arte del 1933, intitolato L’arciere dall’occhio e mezzo. Proprio i contributi avanguardistici della Gončarova e di Olga Rozanova sono quelli più presenti. Per quanto riguarda la prima, trovano spazio anche delle sue opere in cui il proposito figurativo mimetico permane, sebbene reso in modo antinaturalistico (è il caso, ad esempio, del Ritratto di M.F. Larionov e del suo capoplotone, del 1911), mentre della seconda sono esposte più tele che testimoniano la sua oscillazione stilistica che, partendo dall’astrattismo e dal cubismo, approdò poi nella seconda parte degli anni Dieci al suprematismo.

Olga Rozanova,Composizione cubista con frutta, 1914-1915. St. Petersburg, The State Russian Museum

Non manca poi nell’ultima sezione un’opera fortemente legata ai dettami artistici che, con il consolidamento al potere da parte di Stalin, furono resi obbligatoriamente espressione dei principi politici a cui doveva rimandare il realismo socialista (imposto nel 1932). Si tratta di un bozzetto preparatorio della colossale statua L’operaio e la kolchoziana, realizzata in acciaio inossidabile, alta ben 24 metri e mezzo e creata appositamente per essere presentata all’Expo di Parigi del 1937, e poi trasferita infine a Mosca. La simbologia delle due figure è di per sé eloquente: una donna e un uomo si slanciano in avanti simultaneamente impugnando l’una la falce, l’altro il martello.

Tirando le somme, ci pare che la mostra inerente alle donne nell’arte russa e dell’arte russa rispetti il proposito da cui parte, cioè presentare come la cultura russa risulti a sé stante e sui generis, soprattutto se confrontata con gli sviluppi culturali europei cronologicamente paralleli al periodo nel quale vennero prodotte le opere che abbiamo considerato. Ci sia concesso però, in chiusura, un solo piccolo appunto, che non vuole costituire una critica, quanto più una constatazione.

Scorrendo le pagine finali del catalogo dell’esposizione, risultano presenti i nomi di ben trentadue artisti in mostra. La scelta di ripartire la prima parte dell’evento secondo un criterio tematico e non cronologico ha, a ben vedere, costretto l’organizzazione a giustapporre tele che presentano sì lo stesso tipo di soggetto femminile, ma un soggetto che viene sovente reso attraverso stili pittorici differenti. Tale tendenza è manifesta soprattutto (ma non solo) nella sezione intitolata Il corpo. Femminilità svelata dove convivono, ad esempio, il tentativo di primitivismo stilizzato di Larionov nella sua Venere (1912), le rivisitazioni classicistiche nel già citato Banja di Zinaida Serebrajkova (1913) e le pennellate pastose debitrici verso la pittura di Cézanne di Pëtr Končalovskij in Modella con i capelli rossi allo specchio (1923).

Va però tenuto in conto che, come è noto, fu proprio dal secondo Ottocento in poi che si verificò quella progressiva presa di distanza che segnò le sorti della storia dell’arte contemporanea occidentale, e che creò, a partire dall’impressionismo e dal postimpressionismo, le condizioni per l’instaurazione di un fare artistico insofferente ai rigidi dettami dell’arte accademica, il quale finì presto per ramificarsi secondo una pluralità di orientamenti artistici.

Natalja Goncharova, Fabbrica, 1912. St. Petersburg, The State Russian Museum

Ed è stato in questo panorama di oltrepassamento della tradizione figurativa invalsa che anche le donne artiste hanno contribuito, progressivamente, a dire la loro in un panorama pittorico tendente al superamento dei dettami canonici dell’arte occidentale. A ben vedere ciò avvenne forse soprattutto in Russia, laddove già a inizio Novecento, come abbiamo notato, non poche furono coloro che espressero se stesse nella letteratura, nella pittura e nella scultura tramite un proposito di rottura rispetto al passato.

Basti pensare alle differenze con quanto successe nel nostro paese: è noto come il futurismo italiano fu lanciato nei primi giorni del febbraio 1909 dapprima in Italia, ma si impose alla ribalta internazionale a seguito della pubblicazione del Manifesto sul quotidiano «Le Figaro» pochi giorni dopo, il 20 febbraio.

In tal caso storiche sono le foto del gruppo originario dei futuristi (Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini), nel quale però non vi furono donne a ricoprire un ruolo rilevante. Di contro, invece, nella cosiddetta russità che è possibile scorgere visitando la mostra Divine e avanguardie ben si nota come nelle espressioni artistiche delle avanguardie storiche russe un ruolo davvero di rottura nei confronti della tradizione in cui si distinsero esecutori prevalentemente maschili fu svolto dalle figure femminili aderenti alle varie correnti avanguardistiche che più caratterizzarono la pittura russa, come il cubofuturismo prima, e il suprematismo poco dopo.


Divine e avanguardie. Le donne nell’arte russa, a cura di Evgenia Petrova e Joseph KiblitskyMilano, Palazzo Reale, fino al 12 settembre 2021.

Immagine di copertina: Ljubov’ Mileyeva, La nuova vita quotidiana, 1924. St. Petersburg, The State Russian Museum.

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