Urla arcaiche e strilli dal presente

In Teatro

“Darling” della collaudata ditta Ricci-Forte mette mano all’Orestea e la cannibalizza nel vuoto incivile e contemporaneo

Il mito ci salverà. Nella sua componente più tragica, nella sua componente più pop(olare). Dove stiamo andando a finire? Chi raccoglierà i pochi lacerti di questa nostra umanità andata a male? Sembra quasi uno spauracchio complottista, o la lamentela di una rugosa bisnonna.

In realtà non è così, soprattutto se si pensa a un lampo di demoniaca riflessione drammaturgica come Darling (Ipotesi per un’Orestea), il penultimo lavoro di ricci/forte, consolidatissimo connubio (composto da Stefano Ricci e Gianni Forte) del teatro contemporaneo italico. Si piacciono molto, ricci/forte: lo testimonia un gusto per un’estetica compiaciutamente patinata e autoreferenziale, che non ha paura dell’ambizione, della sporcizia, o del lusso.

Qui si osa tanto: l’Orestea è un pretesto – importante, ma pur sempre pretesto – che viene squartato, sezionato, macellato. È un punto di partenza su cui si innestano numerose altre pedane, dalle forme e dai colori eterogenei: pedane che trovano ragion d’essere nella riflessione del crollo di una civiltà, quella Occidentale, ormai priva (perlomeno in apparenza) di alcun appiglio. In questa direzione, ricci/forte imbastisce una messa in scena spregiudicata, e tuttavia in grado di rendere conto a quell’impressionante fetta di pubblico che il duo è riuscito a fidelizzare negli ultimi anni (su questo ultimo elemento sarebbe opportuno aprire un inciso strutturato…): Darling è uno spettacolo che, più che ipotizzare un’Orestea, la reinventa seguendo il linguaggio filosofico ed estetico dei suoi autori.

Le contaminazioni arrivano dalla drammaturgia moderna, dalla musica dei Led Zeppelin e da quella dance, dalla consapevolezza prioritaria che non esisteranno più dei, né Dio, a salvarci: nel suo svolgimento a quadri, Darling è un’onomatopea che scarnifica e poi rimodula ogni esigenza sui corpi dei quattro protagonisti. Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Piersten Leirom e Gabriel Da Costa si contorcono, nudi e vestiti, dilaniati e bruciati da un furore (anti)ideologico che non trova origine legittima. Un’intuizione più che interessante: ricci/forte la colgono con tutta la vivacità stilistica che li contraddistingue. Certo, tutto rischia di restare avviluppato tra l’ordito di un’astrazione che per molti potrebbe odorare di “semplicismo cerebralizzato”, e in fondo non è escluso che sia così: ma del resto agli autori interessano le urla arcaiche in connessione agli strilli del presente, e il grande container assemblabile e perennemente plasmato disposto al centro della scena. Tutto attorno, c’è la contemporaneità rievocata da Facebook e Twitter. Quella stessa contemporaneità che in fondo non è così lontana, nelle sue dinamiche più accecanti, dall’accesa ira di Oreste. Tutto attorno ci sono corpi che si muovono e si avvitano: rumori e silenzi sono stridenti, assordanti, mentre l’umanità crolla – ma la speranza può dirsi tramontata per sempre? ricci/forte lasciano nel dubbio, puntellando la scena di bebé, di tute da lavoro, di balletti e di tanti altri stumenti utili per raccontare il grande bestiario delle vanità umane. Il loro spettacolo, felicemente ostico, può dirsi soddisfatto.

Darling (Ipotesi per un’Orestea), di Ricci/Forte, al Piccolo Teatro Studio Melato fino al 7 febbraio

Immagine di copertina: Piccolo Teatro

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