Cattiveria all’italiana

In Teatro

Il padre-padrone Lello Arena si mangia i parenti serpenti nell’adattamento teatrale del film cult di Monicelli, monumento alla cattiveria made in Italy

Due notizie buone e una cattiva, ma non troppo: è questo il bilancio dell’adattamento teatrale – in scena al Teatro Carcano fino al 19 maggio – di Parenti serpenti, firmato da Carmine Amoroso, artefice della sceneggiatura dell’omonimo film cult, anzi must, diretto da Mario Monicelli nel 1992.

Partiamo dalle notizie buone: si ride ancora, parecchio e di gusto.

Il tasso di cattiveria nelle risate è però inferiore all’originale cinematografico, che anneriva letteralmente l’anima dello spettatore, facendolo sentire un po’ più degno dell’inferno. Ciononostante il regista Luciano Melchionna compie un’opera meritoria – soprattutto nella prima parte – ponendo in risalto tutte le battute ficcanti che nella versione cinematografica erano lasciate sul tavolo senza sottolineature, rimanendo come serbatoio cui i fan potevano attingere a piene mani, facendo proprie frasi proverbiali il cui potenziale non era del tutto sfruttato (e in un certo senso il valore cultuale del film sta proprio nel suo “sperpero” di battute geniali).

La seconda notizia buona è che l’adattamento aggiunge alla commedia delle battute di prima scelta, che attestano l’inesausta capacità di Carmine Amoroso di cogliere truci frammenti verbali di quotidianità da quel “bunker” (per usare un’espressione monicelliana) che è la famiglia italiana.

Forse è proprio all’idea para-bellica del bunker che si rifà la scenografia, in cui la casa dove la vicenda si svolge è a metà tra un presepe e un fortino; ciò suggerisce parallelismi – non originali ma comunque giustificatissimi – con l’attuale abuso propagandistico da parte di certa politica (cui ammicca anche il personaggio Michele, il genero leghisteggiante) del concetto di “famiglia”, propagandata come ultimo baluardo contro la disgregazione della società, nella finzione grossolana e spudorata che l’egoismo che ne determina l’arroccamento su se stessa non si rifletta anche al suo interno, con conseguenze a volte mostruose.

L’adattamento aggiunge al tutto una cornice venata di patetismo che serve a puntare sin dall’inizio i riflettori sul personaggio incarnato da Lello Arena, il patriarca della famiglia dei “parenti serpenti”, riducendo la coralità dell’insieme.

Ed è proprio Arena la notizia semi-cattiva dello spettacolo: nel banchetto natalizio che costituisce il fulcro della commedia, l’attore napoletano – da autentico padre-padrone – tira ingordamente tutta dalla propria parte la tovaglia, lasciando a bocca quasi asciutta gli altri interpreti, i quali possono respirare e mostrare il proprio valore soltanto nella seconda parte, quando il mattatore è indotto a uscire di scena da una provvidenziale messa festiva.

Folle sì, quanto si vuole; inetto anche, di sicuro; bonaccione pure, quanto basta; succube… mah, non poi tanto; ma mite no, non si direbbe proprio. Ed è proprio la mitezza che dovrebbe essere il tratto fondante del carattere di nonno Saverio, il personaggio di Arena, interpretato nella versione cinematografica da un trasognato Paolo Panelli che al confronto sembrava trattenuto e glaciale come Takeshi Kitano.

Per compensare la prepotenza recitativa di Arena, la parte di sua moglie Trieste viene affidata alla vigorosa Giorgia Trasselli, che prende il posto che, al cinema, era appartenuto alla più tenera Pia Velsi, prototipo della “vecchina carina”. Ciò non è comunque sufficiente a riequilibrare lo spettacolo.

Va detto che Arena è una macchina da guerra nei momenti di pura comicità, e manda in visibilio la gran parte del pubblico appena apre bocca; il guaio è che al personaggio di Nonno Saverio sono affidate alcune delle battute più tragiche della commedia… una su tutte: «Uso ad obbedir tacendo», parafrasi del vecchio motto della Benemerita che Saverio pronuncia con mesta fierezza quando la moglie lo costringe a togliersi l’uniforme da carabiniere che egli vorrebbe indossare in occasione della messa di Natale. Se in bocca a Panelli questa battuta provocava una stretta al cuore, detta da Arena fa ridere né più né meno di tutte le sue altre uscite strampalate.

Lo stile del protagonista dunque non arricchisce di profondità lo spettacolo, ma nemmeno ne compromette la valenza universale: Parenti serpenti funzionava e continua a funzionare perché mette in scena delle dinamiche familiari perverse che si replicano automaticamente un po’ ovunque, anche tra persone che se ne ritengono moralmente superiori… e che magari hanno anche visto il film o lo spettacolo ridendone. Per questa ragione la commedia sta attraversando i confini nazionali (recentemente è approdata in Germania), esportando un prodotto made in Italy più che mai in voga: la cattiveria.

 

FOTO © TOMMASO LE PERA