Scoprendo Milano: la Ca’ Granda, una piccola Milano

In Arte

Nono appuntamento con la rubrica “Scoprendo Milano”: ogni mese, la storia di un luogo, della sua evoluzione architettonica, del suo ruolo nelle trasformazioni della città. Da pionieristico ospedale, progettato da Filarete alla metà del Quattrocento, a sede dell’Università Statale; in mezzo cinque secoli di trasformazioni nella città che cambia, fino alle bombe della Seconda Guerra Mondiale. Ecco la storia della Ca’ Granda

Il nostro è un Paese di università antichissime, alcune quasi millenarie. Questo non è il caso della Statale di Milano, fondata nel negli anni venti del Novecento. Un ritardo, quello dell’ateneo milanese, dovuto in parte alla vicinanza di Pavia, in parte alla presenza in città di accademie che già garantivano un’istruzione universitaria pur non essendo organizzate in una stessa istituzione. Nonostante la storia relativamente breve, però, la sede principale dell’Università, la Ca’ Granda di via Festa del Perdono, tradisce un’età che non è certo quella dell’ateneo. Il grande complesso nacque infatti in pieno Rinascimento, con tutt’altra funzione.

Veduta aerea della Ca’ Granda oggi – Lombardia Beni Culturali – fotografia di Alessandro Sartori (2016)

Ma andiamo con ordine: alla metà del Quattrocento, Milano era terra di conquista. Filippo Maria Visconti era morto senza eredi e la neonata Repubblica Ambrosiana iniziò a disintegrarsi e a essere oggetto delle mire veneziane. Francesco Sforza, condottiero spregiudcatissimo, fu dunque chiamato dai Milanesi a dirigere l’offensiva contro la Serenissima e pochi mesi più tardi, nel luglio del 1448, la flotta (fluviale) veneziana fu annientata nel mantovano e a settembre a soccombere fu l’esercito, messo in fuga dai lombardi nei pressi di Caravaggio.

A questo punto però, Francesco deve aver pensato che il suo successo non valesse una stretta di mano del Podestà e decise di approfittare della fragilità dell'”Aurea” repubblica Ambrosiana per dare seguito alle sue ambizioni. Con un inaspettato voltafaccia, si alleò dunque con i veneziani, che accettarono di spartirsi con lui il territorio dell’ex-ducato. Nonostante la mobilitazione francese in difesa della Repubblica, due anni più tardi, Francesco Sforza era il nuovo duca di Milano.

La stratificazione degli stili della Ca’ Granda in un’immagine della seconda metà dell’Ottocento

Machiavelli assunse Francesco a modello di intelligenza e moderazione e il suo ducato passò alla storia come un periodo di buon governo. Eppure, la caduta di Milano non fu indolore: la città fu presa per fame. Il nuovo duca sentì dunque l’urgenza di ingraziarsi il favore dei cittadini con una grande opera pubblica. E date le condizioni in cui aveva ridotto i Milanesi, un grande ospedale dovette sembrargli l’opera più adeguata. Nacque così l’Ospedale Maggiore di Milano; nacque così la Ca’ Granda. Per il nuovo edificio, Sforza cercò il suo architetto nella città più vivace di allora, Firenze.

E in effetti, Antonio Averulino, a noi meglio noto come “il Filarete”, propose soluzioni avvenieristiche per l’epoca: ogni letto era dotato di un armadio e di un tavolo a ribalta, mentre la prossimità con il naviglio garantiva rudimentali servizi igienici. Il Filarete però non vide la fine del cantiere: diresse i lavori per i primi dieci anni, fino al 1465, quando solo una frazione del monumentale complesso era stata effettivamente realizzata.

Il cortile della ghiacciaia

 Fortunatamente, anche il Filarete, come tutti i grandi del Rinascimento, aveva scritto il suo trattato e in esso si preoccupò di includere una pianta dell’Ospedale finito, che ha orientato il lavoro degli architetti che gli sono succeduti. Il disegno del Filarete, infatti, rispecchia a grandi linee la pianta dell’edificio che è giunto fino a noi. Rispetto al progetto originale, però, non mancano alcune differenze sostanziali. Il Filarete, infatti, immaginava che il modulo dei cortili laterali si ripetesse anche per il cortile centrale, che si sarebbe dovuto differenziare per la profondità doppia e per la presenza di una chiesa nel mezzo.

Quando la costruzione dell’edificio raggiunse quel punto però, eravamo ormai nel Seicento e Francesco Maria Richini basò il progetto del cortilone su un disegno della fine del Quattrocento, certamente più affine al gusto dell’epoca di quello del trattato. L’enorme cortile centrale rompe infatti il ritmo dell’edificio, mentre la chiesa è relegata sul fondo del grande vuoto. L’intenzione era evidentemente quella di aumentare il carattere monumentale dell’ingresso anche se probabilmente lo spazio immaginato dal Filarete avrebbe avuto un carattere più intimo e originale. Nel frattempo, la facciata su via del Perdono fu proseguita in continuità a quella Rinascimentale, salvo introdurre la novità di un grande portale di forme pienamente seicentesche.

La Ca’ Granda dopo i bombardamenti del ’43 – Archivio Fotografico Milano

Di ascrivibile direttamente al Filarete oggi c’è dunque solo il piano terra dell’ala sud-ovest dell’edificio, quella compresa tra largo Richini e la basilica di san Nazaro. L’architetto era di vent’anni più giovane del concittadino Brunelleschi ma l’influenza del grande artista è ben evidente nel linguaggio del portici interni, che ricordano l’esperienza dello Spedale di Firenze. Se non mancano i riferimenti all’architettura neoclassica di Brunelleschi, non si può dimenticare chi fu il maestro di bottega del Filarete.

Orafo, scultore e architetto, Lorenzo Ghiberti è passato alla storia come l’antagonista conservatore del genio brunelleschiano ma, al di là della diatriba fiorentina, bisogna riconoscere a Ghiberti il tentativo di trovare una sintesi tra il nuovo gusto e la ricchezza decorativa del gotico internazionale. Questo linguaggio di compromesso sarebbe diventato una cifra del Rinascimento lombardo ed è ben evidente nelle cornici di terracotta lavorate che decorano gli archi a tutto sesto e la trabeazione della facciata esterna.

La stratificazione degli stili della Ca’ Granda portato ad esempio in un manuale di architettura dei primi del Novecento.

Questi dettagli furono sicuramente apprezzati e arricchiti dai successori del Filarete, ancora legati alla sensibilità medievale. D’altronde, mentre in centro Italia il gotico internazionale non era mai riuscito a sfondare veramente, il gotico milanese era ancora vivo e vegeto: il cantiere del Duomo era in pieno fermento e la storia della Ca’ Granda corre in parallelo a quella della cattedrale al punto che la direzione dei due cantieri fu spesso in mano allo stesso architetto.

Questo fu il caso del Filarete così come di Guinforte Solari, suo immediato successore, che impresse un chiaro cambio di direzione nel progetto dell’ospedale. A lui si devono probabilmente le bifore del primo piano e quelle inscritte nell’ordine classico del piano terra. Dettagli “nordici” che saltano all’occhio nella cornice neoclassica, donando all’insieme un carattere eclettico.

Uno spigolo dell’Ospedale Maggiore in una veduta ottocentesca

Per il completamento della crociera nord-est dell’Ospedale, bisogna attendere gli inizi dell’Ottocento. Con i nuovi corpi di fabbrica l’edificio raggiunge le dimensioni attuali. L’Ospedale Maggiore ha mantenuto la sua sede presso la Ca’ Granda fino allo scoppio della seconda guerra mondiale e già nel 1940 erano in atto i lavori di adeguamento del complesso alla nuova funzione universitaria. I bombardamenti, però danneggiarono l’edificio al punto che fu necessario ripensare l’intervento da zero.

Il dopoguerra, si apre infatti con una lunga fase di restauro, svolta con grande sensibilità da un gruppo di professionisti tra cui Piero Portaluppi, Ambrogio Annoni e, soprattutto, Liliana Grassi. Proprio quest’ultima, docente di restauro al politecnico, fu in particolare responsabile del delicatissimo lavoro di ricostruzione dell’ala rinascimentale. Riutilizzando il più possibile i frammenti originali, la Grassi ha ricostruito la crociera con rigore scientifico: uno sforzo durato quarant’anni e conclusosi nel 1984 con la consegna all’ateneo del cortile “dei bagni”.

Anni ’50, antico e moderno si incontrano nella crociera nord – Fondo Liliana Grassi, Politecnico di Milano

 I lavori sul resto dell’edificio sono altrettanto importanti ma si conclusero molto prima, nel 1958, anno in cui l’università si insediò finalmente in via del Perdono. Il cortilone seicentesco fu riedificato con l’ausilio della documentazione fotografica, mentre la crociera nord, di minor interesse architettonico, fu in gran parte sostituita da un ambizioso nuovo progetto di carattere razionalista. L’impianto della crociera è rimasto l’originale ma gli spazi e il linguaggio sono contemporanei. Accedendovi dalla corte centrale, una galleria a tutta altezza si apre con grandi vetrate, che si affacciano sulle arcate del cortiletto di destra, l’unico ad essere stato recuperato, creando così un momento di contatto tra l’antico e il moderno.

Il cortiletto di sinistra diventa invece la nuova aula magna e la galleria assume dunque la doppia funzione di collegamento e di foyer. Procedendo si giunge al cuore del progetto. Dove i bracci della crociera si incontrano, un imponente sistema di scale garantisce l’accesso alle aule che trovano posto nei restanti tre bracci. La scelta dei graniti, la ricercatezza nei dettagli delle balaustre, le grandi vetrate e la struttura leggerissima degli atri sovrapposti donano al complesso una qualità che rende l’intervento di Liliana Grassi il degno coronamento di una storia secolare.

Lombardia Beni Culturali – fotografia di Marco Introini (2016)

Sulle cartoline di Milano la Ca’ Granda non regge il confronto con gli altri simboli della città ma se davvero avesse senso scegliere un monumento che più di tutti riassuma lo spirito di una città, la Ca’ Granda sarebbe per Milano una scelta ancora più naturale del Castello e del Duomo. La coesistenza di tanti stili e di tante intenzioni diverse all’interno del medesimo perimetro rende la Ca’ Granda un piccolo concentrato di quello che Milano è in grande. E se la Statale non può vantare la storia secolare di Bologna o Pavia, certamente il carattere eccezionale della sua sede riassume in sé il valore più intimo dell’università, la lezione di un passato sempre al servizio del futuro.

 

Immagine di copertina: Il cortile della ghiacciaia

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