Bong Joon-ho, 16 anni prima di “Parasite”. Era già un fenomeno

In Cinema

Esce anche in Italia, a 17 anni dalla realizzazione, “Memorie di un assassino”, secondo dei 7 film girati finora dall’acclamato regista coreano. Negli anni plumbei della violenta dittatura militare la polizia di una cittadina sperduta si affanna senza successo a indagare sull’assassinio di una ragazza. Gli omicidi di donne si ripetono, a ritmo sempre più sostenuto. e il serial killer lascia pure un indizio sonoro. Un film beffardo sul fallimento di un paese rassegnato alla violenza e immerso nell’ignoranza

Corea del Sud, 1986. In una cittadina sperduta, quella in cui è ambientato Memorie di un assassino di Bong Joon-ho, lontana da tutto e in mezzo a una campagna mesta, viene ritrovato il cadavere violato di una ragazza. Due poliziotti locali si buttano come segugi sulle tracce dell’assassino. Uno dei due (con il volto attonito di Song Kang-ho, recente protagonista anche del pluripremiato Parasite) è convinto che per individuare il colpevole basti guardarlo negli occhi, l’altro pensa che sia sufficiente batterlo come un tappeto, e ottenere così in men che non si dica la confessione in grado di chiudere brillantemente il caso. Nessuno dei due metodi, naturalmente, sortisce alcun effetto. E gli omicidi proseguono, a ritmo sostenuto e con modalità sempre più efferate.

Al culmine del panico collettivo, arriva da Seul un ispettore e le indagini sembrano avviarsi finalmente sulla strada giusta, seguendo un metodo che vorrebbe collocarsi al virtuoso incrocio tra l’implacabile spirito deduttivo di uno Sherlock Holmes e l’incalzante rigore scientifico di una squadra di poliziotti in trasferta da CSI Miami. Ma è tutta una finta. Perché in realtà, nella Corea degli anni Ottanta, un banale esame del DNA è praticamente un’impresa impossibile: per qualunque analisi bisogna mandare tutto negli Stati Uniti e armarsi di santa pazienza.

Insomma, se scienza e logica sono entrambe destinate allo scacco, i pugni in testa al sospettato di turno non ottengono miglior risultato. Alla fine, nonostante un gran dispiego di uomini e mezzi, intelligenze e deduzioni, il killer crudele sfugge alle indagini, si fa beffe degli investigatori e continua indisturbato a uccidere donne e bambine nelle notti di pioggia, sulle note di una canzone malinconica trasmessa ogni volta dalla radio locale. Un indizio decisivo, in apparenza, destinato a perdersi nel nulla, a sciogliersi nell’indistinto, come tutto il resto, “come lacrime nella pioggia”.

Sullo sfondo scorrono gli anni plumbei della dittatura, dipinti con colori stanchi e soprassalti di indignazione, dando fondo a un’infinita tavolozza di grigi tetri e verdi malsani. In realtà, i militari li vediamo appena. Fanno capolino in una manciata di scene, come un fondale dipinto quasi con nonchalance, senza sottolineare, senza darci particolari spiegazioni. Bong Joon-ho si limita a constatare: mentre le donne muoiono, vittime di un sadico e sfuggente assassino, chiunque si ribelli alle leggi e alle regole imposte da un regime feroce viene massacrato. Senza pietà. Senza rispetto. Che si tratti di studenti, di operai, o di semplici contadini spaventati.

Pur lontano dallo splendore geometrico di Parasite (il suo capolavoro, giustamente premiato con 4 Oscar, oltre alla Palma d’oro a Cannes), già nel 2003 Bong Joon-ho dimostrava il suo notevole talento in un film angosciante e beffardo. Un piccolo compendio ironico di tutti i possibili modi in cui può fallire un’indagine poliziesca. Viene in mente il Dürrenmatt di La promessa, il cui indimenticabile sottotitolo era “Un requiem per il romanzo giallo”. Ma qui il requiem è in realtà recitato per un paese intero, destinato a vagare senza pace nelle tenebre del male e nella palude dell’ignoranza. Un paese prigioniero dell’ingiustizia, assuefatto alla violenza, abituato all’umiliazione dell’impotenza. Il tutto raccontato con un registro che a tratti si fa comico e riesce persino a strappare qualche risata. Ma è un ridere amaro, mentre scrutiamo nel fondo dell’abisso senza trovare altro che matasse informi e orribili, dove la crudeltà si intreccia con la disperazione.

Uscito nel 2003, Memorie di un assassino è il secondo film di Bong Joon-ho e rivela già molto dello straordinario talento del suo autore. Pochi fortunati avevano avuto il piacere di vederlo su grande schermo già nel 2005 a Udine, al Far East Film Festival. Diciassette anni dopo eccolo finalmente nelle sale italiane, sull’onda del grande successo internazionale di Parasite, che, non dimentichiamolo, nella lunghissima storia degli Oscar (la bellezza di novantadue anni!) è il primo lungometraggio non in lingua inglese a conquistare il premio per il miglior film. Giusta consacrazione di un autore tra i più interessanti nell’attuale panorama del cinema mondiale.

Memorie di un assassino, di Bong Joon-ho, con Song Kang-ho, Sang-kyung Kim, Roe-ha Kim, Song Jae-ho, Hie-bong Byeon, Seo-hie Ko.

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