B movie: ieri, oggi e domani

In Weekend

Due giorni, 28 mila dollari: un film, La piccola bottega degli orrori, si fa anche così, Roger Corman docet. Breve storia di un genere che si butta sulla tv

“Set scricchiolanti, resti di produzioni in costume dimenticati, intrecci sospesi a mezz’aria all’esaurirsi di tempo e denaro, star invecchiate che avanzano a fatica tra terribili infamie” , ovvero descrizione della precarietà delle produzioni di serie B.  Che hanno un (consistente passato), un’attualità e un futuro – in serie? – tutto da esplorare.

Da dove provieni, B movie? Attorno all’origine del termine gravitano numerosi miti da sfatare: spesso la lettera B viene associata alle espressioni “bottom of the bill” (In coda alla programmazione) e alla più ironica espressione “bread and butter” (“pane e burro”) che alluderebbe a una facile fonte di guadagno. In realtà la definizione impiegata dall’industria cinematografica prevede che ci si riferisca all’economico termine budget. Durante gli anni della Grande Depressione, conseguenti al crollo della borsa di Wall Street del 1929, le sale cinematografiche cercano di allettare il proprio pubblico, dando l’impressione di offrire più del valore del biglietto d’ingresso, facendo nascere così le proposte Double Bill Feature: allo spettatore viene offerta una doppia proiezione, accompagnata da un contorno di cortometraggi o spettacoli di varietà.

La politica dominante è quella di sforbiciare il non-essenziale: i tempi delle pellicole sono ridotti all’osso, comportando una contrazione negli approfondimenti di trame, personaggi ed eventi, in cui il ruolo protagonista viene affidato all’immediatezza dell’azione. Se da un lato rappresentano il trampolino di lancio, all’opposto i film di serie B rappresentano anche l’anticamera del dimenticatoio per abili attori o registi, avvolti dall’ormai inequivocabile odore di naftalina.

Parte della storia e dell’eredità dei B movies viene creata, o meglio prodotta e diretta da Roger Corman, soprannominato non a caso King of the B’s: questa leggenda vivente vanta tempi e budget da record, riuscendo a girare, per esempio, la commedia horror La piccola bottega degli orrori (1960) in soli due giorni e con il misero budget di 28 mila dollari. Corman riesce a raggiungere vette di successo mai sperate per i B movies, grazie al ciclo di pellicole prodotte tra il 1959 e il 1964, dedicate ai racconti del terrore di Edgar Allan Poe. Il suo lavoro dimostra che è possibile conciliare scarse risorse e creatività, per dare origine a opere considerabili forme d’arte e a molti B movies che si dimostrano tali solo nella concezione. Dall’orizzonte italiano emergono intanto pellicole  come I tre volti della paura (1963) e Diabolik  (1967) di Mario Bava e Milano calibro 9 (1972) di Ferdinando di Leo che hanno fornito un’ispirazione low-budget per molti registi delle generazioni successive, tra cui Quentin Tarantino.

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Che fai oggi, B movie? Chi se non Quentin Tarantino potrebbe incarnare oggi l’erede della tradizione B movie? Il regista di Le Iene, Pulp Fiction e Kill Bill opera nella stessa direzione del re dei B movies, Roger Corman, cercando attraverso la propria produzione cinematografica di far rivivere l’atmosfera della serie B, rievocandone gli ambienti, i personaggi e affondando in un passato di cui è giusto ricordare i dettagli, ma anche riproponendo il dimenticato cinema exploitation all’interno della doppia pellicola Grindhouse del 2009 insieme all’amico Robert Rodriguez, autore del successo di serie B  El Mariachi (1992), girato con un budget di soli 7000 dollari e un cast di attori non professionisti. Il filone viene anche riletto in chiave ironica da Matinée (1993) di Joe Dante, in cui il film nel film intitolato Mant!  è una chiara parodia dei B movies degli anni Cinquanta, carichi di radioattività e di mutazioni genetiche.

In Italia, mancando una vera e propria tradizione del B movie, gli esempi di film  in qualche modo connessi all’argomento sono limitatissimi. Un esempio  si trova ne Il Caimano”(2006) di Nanni Moretti, il cui protagonista è appunto il produttore di B movies Bruno Bonomo, interpretato da Silvio Orlando. Al giorno d’oggi, fortunatamente, lo snobismo critico del passato si considera superato e sostituito da una larghezza di vedute che rende ancora più sfocate le ormai invisibili linee di confine tra i film considerati di serie A e i B movies, affidando allo spettatore l’incarico di scegliere se operare o meno un’ipotetica distinzione sulla base dei contenuti che lo spettacolo gli offre: il cinepanettone verrà elogiato per il suo enorme successo commerciale, oppure disprezzato per la sua discutibile e vacua comicità?

Quale sarà il tuo destino, B movie? Per ipotizzare quale sarà il futuro dei B movies occorre osservare le orme lasciate da queste produzioni low-budget verso la metà degli anni Cinquanta: in corrispondenza dell’abbandono del B movie da parte degli Studios, gran parte dei generi di serie B si riversa all’interno del piccolo schermo domestico, sotto forma di serial televisivo. Il medesimo processo si potrebbe verificare in futuro, seguendo la scia del cinema hollywoodiano, a partire dalle numerose incursioni nel mondo delle serie Tv di numerosi registi: Steven Spielberg con Falling Skies, Roger Corman con la serie di film per la tv, tra cui Dinoshark, Ridley Scott con Numb3rs, Sam Raimi con Spartacus, Martin Scorsese con Boardwalk Empire. Un altro ipotetico destino è quello di trovare sfogo sotto forma di webseries, già da qualche anno è possibile osservarne i risultati attraverso la webserie Splatter prodotta e diretta da Corman e Joe Dante per Netflix nel 2009.

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“Un film di serie B è un film nel quale il set trema quando un attore sbatte la porta” – Anonimo

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