Ragazzi di benlieue, un’orazione vi salverà

In Cinema

Dal 2012 all’università di Seine Saint-Denis, banlieue parigina alle cronache per scontri e disagi sociali, il progetto “Eloquentia” fa gareggiare ragazzi e ragazze in base alle capacità oratorie. Insegnando loro come esprimersi in pubblico, aver fiducia nelle proprie capacità comunicative, uscire dai “ghetti” che sono nelle loro teste. In “A voce alta”, premio del pubblico al Torino Film Festival 2017, Stéphane de Freitas, regista francese d’origine portoghese e fondatore della “gara” con la cooperativa Indigo, ne ha filmata una: il risultato è un film intelligente, appassionante e istruttivo. Per tutti noi

È soprattutto uno il pregio dell’intelligente e appassionante A voce alta – La forza della parola, vincitore del premio del pubblico all’ultimo Torino Film Festival, scritto e diretto (insieme all’esperto Ladj Ly, sceneggiatore e regista 40enne del corto Les Miserables, nominato ai Cesar) dall’esordiente Stéphane de Freitas, parigino di origine portoghese. La capacità di mescolare, fondere con tempi di montaggio e ritmi narrativi molto efficaci, due forme di racconto cinematografico ben codificate: da un lato il film scolastico, che ha ascendenze americane consolidate ma in tempi recenti è stato valorizzato soprattutto dal francese Laurent Cantet – da La classe a L’atelier – in cui, nella forma del piccolo gruppo di studenti, microcosmo della società e della dinamica tra le classi, si incontrano e si scontrano, attraverso le loro storie di relazione e apprendimento, modi di essere, visioni del mondo, aspettative, speranze e paure sulla propria collocazione nella realta. Dall’altro il cinema “sportivo”, che parte da una competizione, non necessariamente basata sulle doti fisiche – come appunto in questo caso – per sviluppare l’analisi dei profili e delle abilità dei contendenti, spesso impegnati direttamente davanti alla cinepresa a svelarsi, e che poi li segue dalle eliminatorie e fino alle fasi finali della gara, mostrando i diversi metodi di preparazione al confronto, i cambi di atteggiamento e di rapporti tra loro, e ovviamente soprattutto le superiori abilità di chi via via resta in gara eliminando gli altri concorrenti.

Ma la cosa interessante è che A voce alta è sostanzialmente un documentario, perché tutto ciò che narra accade annualmente in un’università che ha sede in una delle più celebri (anche tristemente, per il disagio e i frequenti conflitti) banilieue parigine, il distretto di Seine-Saint-Denis: dove dal 2012 il programma “Eloquentia”, progetto poi replicato in altri atenei francesi come Grenoble, Limoges e Nanterre, fa gareggiare i ragazzi e le ragazze in base alle loro capacità oratorie. E la cosa ancor più interessante è che fra gli organizzatori del progetto c’è stata fin dall’inizio la Cooperativa Indigo, “organizzazione no profit che cerca di far entrare in contatto persone provenienti da diversi contesti culturali”, come la definisce il suo fondatore, lo stesso De Freitas.

Ogni anno all’Università di Saint-Denis si premia “il miglior oratore del 93” (è il numero del distretto) e del training degli studenti, che vengono da diversi contesti sociali, si occupano consulenti professionisti dai quali imparano i meccanismi della retorica e la capacità di stare in scena davanti a un pubblico, in primo luogo quello che li giudicherà nella gara: cioè come porgere le parole e i suoni che li racconteranno agli altri, rappresentando i loro talenti ma anche le caratteristiche psicologiche , le origini, le storie personali e sociali.

Così vediamo qui il vincitore Eddie, che batterà in finale la non meno brava e appassionata Souleïla, figlio unico di una coppia franco-tunisina, il più dotato in termini attoriali (è quello infatti che vuol fare) ma anche dialettici, che “ripassa la parte” (meno di 10 minuti dura la prova) percorrendo ogni giorno i dieci chilometri che dividono casa sua dalla stazione del treno che lo porta a Parigi; o Elhadj, che ha vissuto in strada dopo il terribile incendio nell’appartamento in cui abitava; o ancora Leïla, fanciulla siriana che difende ardentemente i diritti delle donne e racconta storie terribili del suo paese, come quella di uno dei leader della rivolta, ucciso dal regime di Assad, a cui vengono poi tagliate le corde vocali, come segno simbolico della costrizione al silenzio dell’opposizione.

Ognuno ha un suo suo stile, si muove e declama (più che recita) con dolcezza o lirismo, humour o gravità, esitando, inciampando, sbagliando, ma via via sempre più sicuro/a e “professionale”. Dall’altra parte della cattedra, ma in fondo accanto a loro, avvocati, registi, poeti slam, insegnanti li aiutano ad uscire anche dai sobborghi mentali che stanno dentro le loro teste e a credere in se stessi, per non trovarsi mai a disagio a causa del loro modo di parlare, etichetta inevitabile e palese di una spesso svantaggiata origine.

E quello che imparano i ragazzi è molto più di imparare a formulare un discorso accattivante: le loro dissertazioni finali dimostreranno infatti un’elaborazione matura non solo del linguaggio ma dalle esperienze di vita che hanno attraversato, e di come si sono riformulati i loro valori, le idee. Dicono nel film: “Per difendersi con le parole occorre imparare a saperle usare” o “Toccare le persone con le parole è un’arma molto potente”: è la prova che hanno compreso come il discorso pubblico sia un’opportunità da maneggiare con responsabilità: può far commuovere e convincere, perfino abbattere le differenze di classe. Imparando le tecniche di respiro e gestualità, le strategie e le strutture dell’argomentare, la sincerità della parola, la gestione delle pause, riusciranno forse nella loro vita a far valere il proprio punto di vista, a dialogare cogli altri, a accordare lo spirito col corpo, l’interiorità con ciò che sta fuori.

Il montaggio alterna in maniera efficace e classica la documentazione delle lezioni con brevi incursioni nelle vite e nelle case dei protagonisti, e chiama in causa anche lo spettatore che non può che ammirare il lavoro, individuale e collettivo, dei ragazzi. Che non diventeranno “bravi” come dei vecchi avvocati paludati, ma saranno felici e arricchiti da un simile percorso di partecipazione e emancipazione.

De Freitas, il cui lavoro si basa sull’idea di “unire gli opposti”, ha girato questo documentario con l’intento di mostrare l’umanità positiva dei ragazzi provenienti dai sobborghi. “L’ho fatto sia come attivista sia come artista. Questi giovani, troppo spesso vittime di pregiudizi, hanno capacità che sfuggono a noi e a volte anche loro stessi. Tutti hanno cose emozionanti da raccontare. Con l’esplosione di internet i legami sociali si stanno lentamente sgretolando. Sempre più persone usano la rete per esprimere le loro opinioni, la loro rabbia, per parlare con gli altri. In una realtà in cui il dialogo sociale e la libertà di espressione vanno velocemente scomparendo, la capacità di parlare in pubblico e la cultura del dibattito civile ricoprono ruoli marginali nell’educazione, oggi. Ecco, volevo tornare a una vera forma di dialogo, ricreare i legami: e mostrare come “Eloquentia” possa lasciare tracce importanti”.

A voce alta – La forza della parola di Stéphane De Freitas e Ladj Ly con Leïla Alaouf, Eddy Moniot, Elhadj Touré, Souleïla Mahiddin, Bertrand Périer, Alexandra Henry, Loubaki Loussalat, Pierre Derycke

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