Sarà la “Fantasia Corale” di Beethoven diretta dal grande direttore d’orchestra erede di Abbado a chiudere idealmente l’anno della Scala. Una partitura di emozionalità e potenza irresistibili nella quale appare il tema che la Nona lancerà come grido alla fratellanza. Un brano poco eseguito e dunque a maggior ragione da recuperare. Per i più fortunati il 23 al Piermarini, per la gioia di tutti in tv il 24 e il 29 dicembre
Conoscete la Fantasia Corale di Beethoven? No? Allora vi manca un bel pezzo di Ludwig van. Non parliamo di quantità – la Fantasia per pianoforte, coro e orchestra op.80 dura dai 19 ai 22 minuti, bacchetta governando – ma di bellezza, di stranezza, di forma eccentrica, di valore simbolico, di potenza, di sintesi, di emozionalità irresistibile (fino alle lacrime se si ha “una luce nel cuore”, come diceva Schiller). Nella Fantasia Corale c’è letteralmente tutto Beethoven: il pianoforte, la Sonata, la Variazione, la musica da camera, la Sinfonia, gli strumenti solisti, il virtuosismo delle voci (sei, tre femminili e tre maschili), il Coro in prova generale del canto che verrà (Missa Solemnis, Sinfonia n.9). Ma, soprattutto, nella Fantasia Corale scritta nel 1808, a 38 anni, appare il tema che la Nona Sinfonia lancerà come grido universale di pace e fratellanza, 16 anni dopo, giusto sui versi di Friedrich Schiller.
Daniel Harding
Ma, attenzione, il tema era piccolo, disinvolto, quasi giocoso, ripescato dalla valigia delle idee messe da parte per occasioni migliori (arte che conosceva bene il signor Rossini Gioachino da Pesaro), infilato in un pezzo (la Fantasia Corale) scritto di fretta e in emergenza.
Perché farla così lunga? Perché la Fantasia Corale op.80, che dal vivo è cosa rara, rarissima (l’Orchestra della Scala l’ha eseguita di recente due sole volte, nel 2016 con Franz Welser-Most, nel 2000 con Riccardo Muti), sabato 23 dicembre sarà il pezzo portante del Concerto di Natale con cui simbolicamente La Scala chiude l’anno (pur senza smettere di lavorare (Don Carlo, Coppélia). Concerto immancabilmente sold out, diretto da Daniel Harding, con Kirill Gerstein al pianoforte (Sinfonia n.2 di Brahms nella seconda parte), ma che potete recuperare la mattina del 24 su Raiuno alle 9.10 e il 29 dicembre su Rai5 alle 9.15. Occasioni preziose per catturare il Beethoven raro che davvero bisogna conoscere se si vuole capire il genio per intero.
Seconda domanda: conoscete la Fantasia Corale “di” Abbado e Pollini? Se sì, non ve ne staccherete più e farete bene: è la versione più clamorosa che esista. Se no, è difficile correre ai ripari. L’edizione in disco (Deutsche Grammophon), ripubblicata nella serie Galleria insieme al Concerto per pianoforte n.1 e alla Meeresstille und glücklische Fahrt, con i Wiener Philharmoniker e il Coro della Staastoper di Vienna (1988), è quasi introvabile.
I canali più accessibili la danno per fuori catalogo e offrono una sola Fantasia recente in disco, quella diretta da con Fabio Luisi al Maggio Fiorentino, con Andrea Lucchesini al pianoforte. In video ci viene incontro il Web. Medici Tv e il sito dei Berliner Philharmoniker offrono su abbonamento (salvi tre minuti “liberi” del Finale) Abbado e Pollini in contesto berlinese (eccellente, ma non la stessa filigrana finissima). You Tube propone ancora Abbado con Evgenij Kissin nella sala del Musikverein, sempre notevole ma non da sogno.
Ancora su You Tube cercate la Signora dai lunghi capelli bianchi, Martha Argerich, che in Giappone si beve disinvolta il pianoforte della Fantasia prendendosi (come sempre) le sue misure, dettando il suo fraseggio e i suoi tempi al direttore, sapendo che il grande vecchio sul podio, Seiji Ozawa, non sbaglierà nulla e l’asseconderà da Maestro qual era.
Se volete rimanere sul coté femminile, di un altro profilo e un’altra generazione, seguite una pianista giovane e bella, Alice Sara Ott, che suona a piedi scalzi come Sandy Shaw, diretta da una donna, Laurence Equilbey, alla Philharmonie di Parigi, con una formazione, la Insula Orchestra, un poco orientata verso il suono “antico”. Una versione “di grazia” che Sara Ott offre su un Pleyel dalla voce morbida.
Nel mondo You Tube incrociate anche altre due versioni firmate. La prima al Musikverein di Vienna: Leonard Bernstein con tempi larghi, staccati angolosi, solismi lucenti, ripieni grandiosi e un buon solista, Homero Francesch (ma lo spettacolo è Lenny). La seconda americana con Alfred Brendel e James Levine che dirige la New York Philharmonic nel suo centesimo compleanno (corni e legni inappuntabili). Anche qui equilibri disassati: la linea solista è quella severa di un pianista “di concetto”, l’estro è nelle mani di Levine.
Ora provate un gioco di fantasia: immaginate Ludwig van Beethoven a Vienna, la sera del 1808 – combinazione, un 22 dicembre -, che suona il “suo” pianoforte nel pezzo inventato in extremis. A che serve? A capire perché lo scrisse e lo scrisse così. Nel programma “monstre” che nessuno mai aveva osato “infliggere” al pubblico della capitale della musica – Quinta e Sesta Sinfonia, Quarto Concerto per pianoforte, un po’ di Messa in do maggiore, l’aria “Ah perfido” -, Beethoven aveva anticipato nella prima parte la Sinfonia n.5, aprendo un buco nella seconda. Occorreva qualcosa in cui riversare tutte le forze chiamate alla serata. Nel segno di ulteriori economie, il nuovo pezzo comincia con un lungo assolo al pianoforte ch’è semplicemente un’improvvisazione d’autore (Beethoven suonava da dio). Quasi un terzo del pezzo è a orchestra ferma. Poi gli strumenti sono chiamati quasi uno ad uno: violoncelli, violini, corni a distesa, oboi, flauto, clarinetto, fagotto, fino a coinvolgere tutta l’orchestra e a liberare il canto (due soprani, mezzosoprano, due tenori, un basso), facendo esplodere il Coro su un tema che 16 anni dopo, a 54 anni, Beethoven metterà a incoronare la Sinfonia n.9. Quella che fa accapponare la pelle anche come inno dell’Europa Unita che Ludwig nemmeno poteva immaginarsi ma in cuor suo avrebbe sognato.
Ultimo e non ultimo: il “motivo” dell’Ode alla Gioia (che nel 1989 Leonard Bernstein dirigerà alla caduta del muro di Berlino nella variante del 1808: Ode an die Freiheit, Ode alla libertà), era di una romanza buttata giù nel 1795, a 25 anni: un tema leggero, che Beethoven applicò ai versi scritti di corsa dall’amico Christoph Kuffner, segretario di Corte, letterato e consigliere. Versi sognanti: “Carezzevoli, dolci e amabili suonano/le armonie della nostra vita/e dalla bellezza si espandono/fiori che sbocciano in eterno”. E profumati di massoneria: “Se insieme si fondono amore e forza, il favore degli dei premierà l’umanità”.
Insomma, nata come riempitivo di un concerto destinato a intascare proventi propri, la Fantasia Corale “lavora” un motivetto che finisce nel rito più alto e laicamente sacro della Musica di ogni tempo.
Non c’è altro da aggiungere per spiegare il fascino della Fantasia Corale e l’alchimia del Genio nel convertire il prosaico in sublime. E nemmeno per sollecitare la curiosità di ascoltare come la leggerà la bacchetta incisiva e appuntita di Daniel Harding.
In copertina: foto di Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala