Albe e Lica Steiner: la rivoluzione con le armi della grafica

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Non si può che rimanere colpiti dalla quantità di personaggi che affiorano tra le carte, gli scambi epistolari, i progetti esposti nella mostra Licalbe Steiner,…

Non si può che rimanere colpiti dalla quantità di personaggi che affiorano tra le carte, gli scambi epistolari, i progetti esposti nella mostra Licalbe Steiner, grafici partigiani, allestita nello spazio Archivi del Novecento da Anna, figlia dei due grafici. Si ha la sensazione che non ci sia personaggio che Albe Steiner (1913-1974) e Lica Covo Steiner (1914-2008) non abbiano incrociato: da Elio Vittorini a Giorgio Bassani, da Franco Fortini a Italo Calvino, da Giuseppe Pagano a Franco Albini, da Hannes Mayer a Siqueiros e Rivera, da Pablo Neruda a Pablo Picasso, da Vittorio Gassman a Eduardo de Filippo. Due esistenze, di marito e moglie, spese al centro della storia (e della storia migliore) del Novecento, dove i fermenti culturali più vivi si intrecciano con i drammi del Secolo breve. È, del resto, la famiglia d’origine a precipitare Albe, poco più che bambino, nel centro della Storia con la “s” maiuscola: sua zia Velia Titta è la moglie di Giacomo Matteotti, suo zio è Titta Ruffo, noto tenore antifascista, costretto all’esilio. Il 21 agosto 1924, giorno dei funerali di Matteotti, il padre di Albe è tra i quattro che trasportano la bara del deputato socialista assassinato dai fascisti. Albe ha undici anni e disegna il suo primo “manifesto”:

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Poi gli anni della formazione, di apertura internazionale: pur nel clima asfittico del Ventennio autarchico, Albe riesce a nutrire la sua curiosità, con un occhio al Bauhaus e uno alle sperimentazioni della grafica sovietica. La guerra si abbatte con durezza su Albe e Lica: si sono sposati nel 1938 e hanno fondato insieme lo studio di foto-grafica L.A.S (Licalbe Steiner). Lei è ebrea e perde il padre e due nipoti per mano nazista; lui il fratello Mino, partigiano, morto a Mauthausen. Entrambi, Albe e Lica, sono partigiani comunisti, in val d’Ossola. Svolgono attività di propaganda, curano la grafica di volantini e materiale politico; Albe ridisegna la testata dell’Unità clandestina e crea il simbolo della Divisione Val d’Ossola, riprodotto sulle tessere e i fazzoletti dei partigiani. Già da allora, e poi per sempre, la ricerca della chiarezza grafica e dell’eleganza di un carattere è anche, e forse soprattutto, uno sforzo politico, per costruire un mondo migliore; già da allora, come dirà Italo Calvino nel 1974, in un ricordo del grafico appena scomparso, «il piacere dell’invenzione formale e il senso globale della trasformazione della società non erano mai separati».

Albe-e-Lica-Steiner-Manifesto-per-la-mostra-della-Ricostruzione-i-C.L.N.-al-lavoro-a-cura-del-Comitato-di-Liberazione-Nazionale-della-Lombardia-all’ex-Arengario-di
Albe e Lica Steiner, Manifesto per la mostra della Ricostruzione, 1945

Finita la guerra i coniugi Steiner volano in Messico dove si sono rifugiati due fratelli di Lica. Ci resteranno due anni. Il ritorno a Milano è calcolato per poter arrivare in tempo a votare alle prime elezioni democratiche, nel 1948. Il Messico è l’occasione per stringere rapporti con Hannes Meyer, direttore del Bauhaus di Dessau alla fine degli anni Venti, e entrare in contatto con il giro dei “muralisti” messicani, Diego Rivera e Siqueiros in testa: anche per loro, come per gli Steiner, creazione artistica si coniuga, immancabilmente, con impegno politico. Prima di partire per il Centro America c’era stato il tempo di curare la rivoluzionaria grafica del «Politecnico», la rivista Einaudi fondata da Vittorini su cui passeranno tante delle più importanti polemiche culturali del dopoguerra. E per i vent’anni a seguire non c’è iniziativa culturale milanese cui Albe sia estraneo.

Albe Steiner, copertina di Il fabbricone di Giovanni Testori, 1963
Albe Steiner, copertina di Il fabbricone di Giovanni Testori, 1963

Per dieci anni, e fin dalla fondazione nel 1955, cura i progetti grafici per la Feltrinelli: sono sue, per intenderci, le copertine del Dottor Zivago o dei primi libri di Giovanni Testori. Collabora con il Piccolo Teatro, partecipa alle Triennali, cura le macchine espositive per mostre sulla Resistenza e la ricostruzione post-bellica, pubblica, con Piero Caleffi, Pensaci, uomo! il primo libro fotografico sull’Olocausto. Ma, ancora, cura loghi, manifesti e allestimenti per la Rinascente e, nel 1963, disegna il logo della Coop: è il logo in uso ancora oggi, giusto un poco ammodernato, alla metà degli anni Ottanta e con significativo passaggio di testimone, da Bob Noorda. Anche questa è politica, democrazia della bellezza diffusa, secondo gli insegnamenti del Bauhaus, negli oggetti di consumo riproducibili industrialmente.

Manifesto-per-l’inaugurazione-del-primo-magazzino-COOP-a-Reggio-Emilia-con-il-logo-disegnato-da-Albe-Steiner-1963
Manifesto per l’inaugurazione del primo magazzino COOP a Reggio Emilia con il logo disegnato da Albe Steiner, 1963

Impossibile restituire una campionatura dei materiali presenti in mostra. L’esposizione è ricchissima e procede per accumulo, scandita solo nei diversi campi di applicazione della produttività di Albe e Lica: ricerca grafica e foto-grafica, editoria, pubblicità e allestimenti, marchi, presentazione di prodotto, manifesti e grafica di impegno civile, formazione professionale. Una sezione rende conto della produzione di Lica, dopo la morte improvvisa di Albe mentre preziosi materiali degli archivi familiari intrecciano le vicende biografiche a quelle professionali. Il rischio, in tanta abbondanza, è di sentirsi smarriti nelle trame di immagini, di invenzioni, di voci. Ci si àncora alla coerenza della ricerca di Albe e Lica, partigiani fino alla fine, con le armi della grafica.

 

Licalbe Steiner, grafici partigiani, a cura di Anna Steiner, Museo del Novecento, fino al 28 febbraio.

Immagine di copertina: Ugo Mulas, Albe e Lica Steiner.