Il libro di poesia#3: “Dora Pal” di Ida Travi

In Letteratura

In questo libro si entra come scivolando. La poesia di Ida Travi è infatti dotata di una potente forza ipnotica e tende ad effettuare sul lettore che vi si accosta una sorta di incantamento

Quando la materia testuale è mobile, rifiuta categorizzazioni, l’impresa critica diventa ardua. Questa difficoltà caratterizza l’approccio a tutti i libri di Ida Travi, che siano raccolte di poesia o saggi sulla letteratura, come L’aspetto orale della poesia e Poetica del basso continuo. Tutti i testi di Ida Travi sono dotati di una forza centripeta che spinge a parlare dei contenuti per il tramite dei contenuti stessi, senza aggiungere nulla, onde evitare il rischio di glassare con una patina inutile parole limpide, semplici, senza fronzoli. Non fa eccezione nemmeno Dora Pal, l’ultima sua fatica letteraria. Però, sfogliando la raccolta, la prima parte di uno fra i testi più memorabili della stessa offre un suggerimento al lettore:

Datemi retta, quel che vi dico
non potete capirlo di schiena
devo parlarvi nel petto, e allora
nel petto fiorirà la rosa.

In questo libro si entra come scivolando. La poesia di Ida Travi è infatti dotata di una potente forza ipnotica (nonostante e forse grazie all’uso di un vocabolario semplice, un lessico tanto amato da Saba) e tende ad effettuare sul lettore che vi si accosta una sorta di incantamento, come l’autrice spiega bene in questo passo tratto dall’Aspetto orale della poesia:

Nella voce della madre come nella poesia epica l’integrità concettuale della cosa in sé viene disseminata nella molteplicità dei suoni e dei casi. È per questa frantumazione, per questa dissoluzione dell’unità del vero, che il poeta tiene chi ascolta chiuso in un incantesimo e non lo lascia pensare.

La sfida è proprio quella di accettare di spegnere il pensiero razionale, di adeguarci al nostro stato di sonnambuli che accedono alle cose del mondo per slittamento, obnubilati, ignorando molto, capendo poco. La maggior parte del tempo la passiamo dormendo (lo sosteneva anche Elémire Zolla in Archetipi. Aure. Verità segrete), visto che molte delle nostre azioni non arrivano alla soglia della consapevolezza. Perché ci comportiamo in un modo, invece che in un altro? Perché facciamo questo e non quello? Nel libro di Travi queste domande abbondano, accanto a immagini che rievocano il sonno.

 

I Tolki

I Tolki sono i parlanti; si tratta – come specifica l’autrice – di un neologismo costruito per slittamento sonoro e di senso dal verbo inglese “to talk”, parlare. Vivono dormendo, dormendo dimenticano e ricordano. Ce lo dice Ida Travi stessa in una nota introduttiva a Dora Pal, dove torna a presentare questi strani personaggi che da in avanti, attraverso quattro libri, popolano i suoi testi. I Tolki sono esseri, spiega nella prefazione a Katrin, “marchiati dal linguaggio” (una definizione di Lacan) e la loro parola è quella tipica della poesia orale e della madre. Si tratta di una parola che viene prima della sua incisione su pagina, una parola non fissa, mobile, una parola libera dal dualismo tipico del pensiero dialettico, che obbliga a scegliere fra due opzioni, non accettando la compresenza di un elemento e del suo opposto. La parola dei Tolki non definisce e lascia aperto il campo delle possibilità, risultando spesso ambivalente. Se in alcuni momenti essa è sapienziale, prevede le cose, in altri appare smarrita, fragilizzata; a volte può diventare addirittura ottusa, ancorata ad un pensiero comune dagli orizzonti ristretti. La parola dei Tolki, il mezzo attraverso cui essi mettono in scena il linguaggio, risente da un lato della gettatezza di Heidegger, dall’altro però si accorda sullo spazio della custodia – come precisa Bachelard siamo certamente gettati in un mondo a noi alieno, distante, ma allo stesso tempo veniamo accolti, cullati dalle braccia materne del mondo stesso. E ancora: la parola di questi strani esseri può essere delicatissima, sul confine fra “essere” e “non essere”, ma anche forte, carica, materica. È una parola che ha bisogno di tanto tempo per emergere, ma può anche arrivare improvvisamente a fermentazione:

È pazza l’insalata, non sa niente
butta fuori le foglie per niente
spinge fuori la testa per niente…

Tu parla come fanno le radici
lo sai come fanno le radici?

Salgono su dalla terra come se fossero morte
e poi all’improvviso ti danno il fiore, il fiore.

Fra i Tolki appare Kiv, il bambino che deve tirare il carretto con un filo. Quel filo (la vita) prima o poi andrà restituito. Accanto al carretto, in un testo, emerge un altro elemento, il rocchetto. La mente non può non andare a Freud e al suo saggio, Al di là del principio del piacere, là dove il padre della psicanalisi descrive il piccolo Ernst mentre rielabora il trauma della scomparsa della madre giocando con un rocchetto, che prima scaglia lontano e poi recupera con tenerezza, come una messa in scena teatrale in cui si tenta il riconoscimento delle identità in gioco. I Tolki mettono in scena il linguaggio, ovvero l’urto che la vita opera sul singolo e il superamento dello stesso attraverso la parola della madre che ammonisce, rincuora, indirizza, sprona. Il titolo può ricordare, fra le altre cose, I ragazzi della via Pal, costretti a superare il trauma abbandonico, a tuffarsi nel teatro della vita. Ida Travi, ricorrendo al dialogo, teatralizzando, riesce con un lessico semplice ma potente a mettere in poesia la scena originaria, quella della prima parola, una parola ancora viva, libera dalle sclerotizzazioni che il pensiero occidentale ha trasferito sul linguaggio. Se è vero che l’individuo è solo, che “la Terra è cattiva” per dirla alla Lars von Trier, è anche vero che se accettiamo il gioco degli opposti, se riusciamo a transitare quasi trasportati dalla corrente nell’ambiguità dell’esistenza, allora il mondo può fiorire, può scendere a cinguettare nel palmo della mano:

ma dimmi Dora, chi?
ma dimmi, Dora, cosa…?
Il mondo è sceso a cinguettare nella mano
E dillo a Dora Pal, dillo…

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