“One second” è l’ultimo film del grande regista cinese di “Lanterne rosse” e “La storia di Qiu Ju”, che l’ha reso forse più gradito al potere con l’aggiunta di un secondo finale rassicurante. Un’opera poetica, intelligente, emozionante, un omaggio alla forza dell’immagine, dell’immaginazione. E una grande storia di padri e figli, abbandoni e riconciliazioni, dolori, destini, rinascite. Che ricorda Chaplin e Hawks
Un uomo cammina nel deserto, tutto solo, con una borsa di corda a tracolla e le scarpe piene di sabbia. È il protagonista di One second di Zhang Yimou. Cammina e cammina, gli occhi fissi sulla meta, una duna di sabbia dopo l’altra, e finalmente l’uomo arriva in un minuscolo paesino dove si è appena conclusa la proiezione di un film. Si aggira guardingo, non sappiamo bene che cosa teme, da cosa fugge, ma scopriamo ben presto che la sua unica ragione di vita è riuscire a vedere un film, o meglio un cinegiornale, di quelli che venivano proiettati prima delle pellicole principali. Una volta, tanto tempo fa. Perché in quel cinegiornale c’è, solo per un istante, l’immagine di sua figlia. Quella figlia di cui ha perso le tracce, che non vuole più avere niente a che fare con suo padre, dopo che lui è stato arrestato e internato in un campo di lavoro.
Siamo nella Cina della Rivoluzione Culturale, in un minuscolo villaggio ai margini del deserto: un mondo arretrato, violento, crudele, eppure aperto alla magia del cinema, delle immagini in movimento, attese come un vero e proprio miracolo, capace di strappare al mondo il velo dell’insignificanza, regalare emozioni straordinarie, dare significato anche all’esistenza più inutile. L’esistenza di Zhang (Yi) – è lui l’uomo che cammina nel deserto – è minata dalla violenza, condizionata dalla rabbia e dalla penuria, dominata da una terribile coazione a ripetere, eppure si rivela capace di elevarsi, andare oltre, volare sulle ali dell’immaginazione. Uno scopo che si estende agli abitanti del villaggio, che si ritrovano tutti indistintamente coinvolti nell’impresa di salvare una bobina di pellicola, la “pizza” del cinegiornale, che un malaugurato incidente ha gettato nella polvere, quasi distrutto, ma con immensa pazienza può essere spolverata, lavata e asciugata, e fotogramma dopo fotogramma riportata a nuova vita.
La stessa possibilità di nuova vita che in realtà non sembra riconosciuta agli abitanti del villaggio, piccolo e feroce mondo antico, dove i rapporti fra le persone sembrano esclusivamente improntati alla sopraffazione e al ricatto. Proprio ciò che vediamo accadere fra il protagonista maschile e la giovanissima protagonista femminile, una ragazzina orfana e ribelle, che in un pezzo di pellicola rubata vede solo la possibilità di riparare a uno sbaglio, ricostruire un oggetto (un paralume di celluloide) e mettere in salvo il fratellino bersagliato dai bulli.
Era stato selezionato per il festival di Berlino nel 2019, One Second, poi all’ultimo momento era stato ritirato per fantomatici “problemi tecnici di post-produzione”. Insomma, era intervenuta la censura cinese. Sono passati due anni e non è dato sapere che cosa esattamente sia cambiato rispetto alla prima versione immaginata da Zhang Yimou. Se dovessimo fare una scommessa, punteremmo tutte le nostre fiches sull’ipotesi che sia stato aggiunto un secondo finale, che consola e rasserena, chiude ogni ferita e ripulisce i protagonisti, trasformandoli in eroici rappresentanti dell’ordine e della società. È infatti decisamente più aperto e suggestivo il primo finale, tra le dune di sabbia, sulle tracce di un minuscolo pezzetto di pellicola che si fa proiezione del desiderio ma anche e soprattutto simbolo di scambio umano, amicizia, solidarietà.
Dura un istante la felicità. Ma un secondo, un piccolo stupido secondo, al cinema può durare tutto il tempo che vogliamo. Perché il cinema è magia, e quell’istante è in grado di dilatarlo, di renderlo eterno. Zhang Yimou ha scelto questa immagine per costruire il suo omaggio al cinema e alla sua forza dirompente, un omaggio capace di scalare le vette dell’astrazione ma anche concretizzarsi in mirabili scambi fra i personaggi, dialoghi meravigliosi che sembrano usciti da una commedia brillante di Howard Hawks, o da un film di Charlie Chaplin. Grande cinema che riflette su di sé, su come si creano i personaggi e si mettono in scena le storie, che occupa lo spazio e lo ricrea, risveglia l’attenzione (troppo spesso resa ottusa da immagini tutte ugualmente banali) e racconta i sentimenti, senza paura e senza fronzoli. Cinema che racconta di padri e di figli, di abbandoni e riconciliazioni, dolori, destini, rinascite. Insomma, emozioni.
One second di Zhang Yimou, con Zhang Yi, Wei Fan, Liu Haocun, Ailei Yu, Xiaochuan Li, Yu Ai Lei