In occasione della mostra di Chiara Terraneo Tauromachia, presso la galleria Gigantic, abbiamo deciso di intervistare Laura Lecce (Napoli, 1987) e Fabrizio Vatieri (Napoli, 1982),…
In occasione della mostra di Chiara Terraneo Tauromachia, presso la galleria Gigantic, abbiamo deciso di intervistare Laura Lecce (Napoli, 1987) e Fabrizio Vatieri (Napoli, 1982), che ne sono i giovani curatori. Tauromachia nasce infatti in seno a Pelagica, un progetto curatoriale e di ricerca sullo scenario mediterraneo che Laura e Fabrizio hanno intrapreso a Milano, nel quartiere di NoLo (Nord di Loreto: «siamo molto legati a questa zona di Milano. L’abbiamo scelta perché ha molto a che vedere con le culture mediterranee, e ci sta dando tanti stimoli»). Sono bastate poche domande per innestare una riflessione a due voci che ripercorre il loro percorso.
Chi siete e qual è la vostra formazione?
Fabrizio — Io sono nato a Napoli, dove mi sono formato come studente di architettura. Durante gli studi ho mi sono avvicinato alla fotografia come dispositivo di ricerca artistica. Una ricerca che oggi si esprime anche in altri modi e che mi vede in veste di curatore e artista nel caso di Pelagica. A Milano negli ultimi anni ho preso parte al gruppo di ricerca Exposed: assieme ad artisti, curatori e studiosi abbiamo creato un osservatorio sui cambiamenti e le trasformazioni del territorio lombardo in relazione all’evento di Expo.
Laura — Anche io sono nata a Napoli, ma mi sono formata in Filosofia alla Statale di Milano. Mi sono laureata in estetica, materia da cui è nato l’interesse per la teoria dell’arte. Ho iniziato a scrivere per piccoli magazine e a lavorare come assistente in gallerie, studi creativi ed eventi legati all’arte contemporanea. Alla GAMEC di Bergamo ho lavorato nel dipartimento educativo.
Com’è nata Pelagica?
Fabrizio — Io e Laura ci siamo incontrati nel 2011 (a Piazza Dante a Napoli!). Fin da subito ci siamo confrontati sul tema del Mediterraneo, che è per noi una questione di appartenenza: Napoli è stata ed è ancora un crocevia di culture molto diverse. Quella di attivarci a riguardo è stata una necessità.
Laura — Eravamo interessati al Mediterraneo prima come concetto e cliché culturale piuttosto che come luogo geografico, ma anche a come il concetto diffuso di mediterraneo avesse influenzato l’identità dei luoghi stessi. È ovvio che non esiste un vero confine di area mediterranea così come non esiste una sola cultura mediterranea. Come insegna Braudel (il più importante studioso a riguardo) ci sono tanti Mediterranei, e il nostro lavoro indaga questa complessità. Il concetto di Mediterraneo ha inoltre accompagnato la nostra identità italiana, ci ha fortemente connotato: l’Italia è un Paese raccontato come mediterraneo — così come tanti altri paesi. Questo è molto interessante per noi come ricercatori, in merito anche ad una riflessione a cui teniamo molto sull’autenticità dei luoghi e sul turismo.
Fabrizio — Questi erano i temi all’origine del nostro primo progetto fotografico, Mediterranean Drama, che abbiamo sviluppato nel corso di un viaggio fuori stagione turistica a Ibiza, nel 2012. Ci piace ricordare il cartellone pubblicitario in cui campeggiava la scritta “Residencial Paradise”: riguardava proprio la questione dell’autenticità dello stesso concetto di Mediterraneo e la sua influenza sull’estetica dei luoghi ai quali viene applicato.
Laura — Poi la ricerca si è aperta al lavoro di vari artisti che hanno portato e intersecato nuove questioni. Pelagica lavora con gli artisti in due modi: curando parti di un lavoro già avviato dall’artista di cui condividiamo gli intenti di ricerca, sviluppando un capitolo assieme; oppure invitando gli artisti ad un percorso ex novo, partendo da una nostra idea curatoriale. L’argomento è molto ampio e attuale, dal punto di vista dell’estetica; ma anche per l’antropologia, la storia e soprattutto la politica, il Mediterraneo interessa davvero a molti.
Parlatemi dei progetti che avete realizzato.
Fabrizio — La prima mostra che abbiamo realizzato era legata a Mediterranean Drama (2014) e fu allestita nel nostro primo spazio a Milano. Si trattava di una selezione di quattro fotografie del progetto e di altre quattro fotografie tratte dalla serie Lido della fotografa Allegra Martin, un lavoro sulla località Lido Adriano di Ravenna.
Laura — Grazie a questa mostra siamo stati invitati dal Festival di Fotografia Savignano Immagini (2014) a partecipare ad una grande collettiva sul paesaggio italiano. Qui abbiamo portato altri due progetti fotografici: Melilla di Anna Positano, realizzato appositamente per Pelagica e riguardante l’unica via di terra che i migranti possono intraprendere per accedere all’Unione Europea, e Azzurro di Jacopo Pasqui, una selezione di fotografie dall’archivio personale dell’artista. Ci siamo presto accorti che il Mediterraneo origina un interesse esotico, una strana forma di nostalgia.
Laura — Poi c’è stata la mostra Casa a Mare na na na (2015), prima mostra curata da Pelagica presso la galleria Gigantic, in collaborazione con Claudio Musso. Giuseppe de Mattia e Luca Coclite, con il nome Casa a Mare, portano avanti un progetto artistico sul paesaggio “antropizzato” della costa pugliese, nonché sull’immaginario della villeggiatura del Sud Italia. Alcune opere erano una sorta di omaggio all’architettura spontanea, vernacolare, abusiva. In galleria abbiamo riprodotto un tipico muro “paracane” (citato da Montale: «una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia») usato come recinzione a difesa delle case rurali, ed era presente anche un misterioso oggetto nascosto sotto ad un telone cerato blu, simile a quelli che si usano nelle rimesse portuali. In tutto lo spazio espositivo risuonava in loop la sillaba “na”, pronunciata in dialetto salentino: sorta di cantilena infantile e inconscio invito a guardare, a brandire qualcosa.
Fabrizio — Con Casa a Mare siamo riusciti a varcare i confini della fotografia e dell’approccio documentaristico, approdando a una dimensione più concettuale. E’ stato un passaggio importante per noi.
Fabrizio — Due anni fa in un mercatino di Genova ho trovato La Tunisia (2015), una monografia politico-militare redatta nel 1912 dal Comando del Corpo di Stato Maggiore italiano. Si tratta di un oggetto ambiguo: un resoconto geografico, politico ed etnografico sulla Tunisia, in parte vademecum per colonialisti, in parte manuale scolastico, pensato forse anche come guida per turisti, questa pubblicazione fa parte delle edizioni sull’Africa orientale ricollegabili all’entusiasmo imperialistico italiano di inizio Novecento. La prima cosa che mi venne in mente fu di andare in Tunisia e illustrare questo libro — che è composto di solo testo — come progetto personale. Poi decisi di avere uno scambio di vedute con più artisti, chiedendo loro di immaginare un contributo sul rapporto fra il turismo e il colonialismo nel Mediterraneo, in particolare in Tunisia. Il progetto è sostenuto anche dal curatore Marco Trulli, che l’ha inserito nel circuito off di Mediterranea 17 e che ha pensato con Pelagica una sovversione e derisione della museificazione dei manufatti coloniali: il libro è stato allestito dentro a una teca illuminata di rosso, accanto a dei datteri; con l’audio di un testo, trascritto in arabo grazie a un traduttore online, alcuni brani hanno perduto il loro significato, ma hanno assunto una valenza politica legata all’islamofobia.
Laura — Infine eccoci a Tauromachia, mostra che apre questo 25 febbraio 2016. L’idea nasce dopo un viaggio in Spagna, dove sono rimasta colpita dalla scritta “tauromachia” presente su molti muri. Un signore mi ha spiegato che in Spagna “tauromachia” riguarda lo stile del torero nell’affrontare il toro. Il termine greco si riferisce non esclusivamente alla pratica della lotta fra l’uomo e il toro, ma anche quella fra l’uomo e altri bovini, fra il toro e altri animali, oppure può indicare giochi come l’antico salto del toro, e tutte queste pratiche sono sempre state diffuse in tutte le civiltà mediterranee. Sono molto legata al simbolo del toro — è quello del mio segno zodiacale — e avendo il desiderio di fare una mostra con un indole più pop mi sono rivolta a Chiara Terraneo, illustratrice e artista che ha ripreso filologicamente i diversi miti taurini. Questi miti si legano fra loro costituendo una saga che si posiziona alle origini delle civiltà mediterranee (Zeus si trasforma in toro per sedurre Europa, che fonderà la civiltà cretese) accomunandole nel tempo e nello spazio, e Chiara ha caratterizzato ogni toro in base alla propria personalità: il toro lunare-dionisiaco è legato alla fertilità della madre terra; il Minotauro è il mostro cannibale e picassiano; i tori di Zeus e quello del dio egizio Api sono seduttori e divinità protettrici.
Cosa avete in serbo per il futuro?
Fabrizio: stiamo proseguendo con degli approfondimenti su progetti che riteniamo interessanti e che pubblichiamo sulla Gazette del nostro sito pelagica.org, e il progetto Mediterranean Drama sta diventando un libro. In occasione del Salone del Mobile realizzeremo un progetto con i Tankboys, con cui collaboriamo anche per quanto riguarda la nostra identità visiva.
Immagine di copertina: © Chiara Terraneo – Pelagica, Tauromachia