Quel feroce, rivoluzionario desiderio di giustizia. Mariapia Veladiano, “Dio della polvere”

In Letteratura

La connivenza colpevole, le minacce di distruzione totale, il silenzio che tutto soffoca, lasciar passare il tempo in modo da snervare. Quanti sono i modi in cui, per secoli, la chiesa cattolica ha coperto lo scandalo della violenza sessuale operata dai preti su bambini e donne? E pensare che ancora oggi c’è chi dice che, in fondo, di abusi ce ne sono tanti: dunque, perché quelli della Chiesa dovrebbero essere più importanti? Mariapia Veladiano scrive un romanzo impetuoso e fortissimo su quello che considera la più grave (e forse definitiva) minaccia che la Chiesa ha protetto fino ad oggi. Perché il vero scandalo è la cancellazione delle vittime: se il male è per sempre, senza giustizia lo è ancora di più.

Alla porta di un vescovado una donna starnutisce. La polvere, spiega alla suora che, aperto il battente, le ribatte con puntiglio che in quelle stanze si è usi a pulire abbastanza.
L’ospite, però, non è conciliante, non è disposta a ritirare quello che percepisce, e che pensa: è alla compromissione che è allergica Chiara Camillini – alla compromissione delle superfici che negano la mancanza di pulizia, sotto l’ordine apparente.
E così è anche questo nuovo, coraggioso, teso romanzo di Mariapia Veladiano, Dio della polvere, pubblicato da Guanda.

Concepito come un giallo (del genere condivide l’indagine, serratissima, che procede alla ricerca di un nome, di un volto, di una responsabilità), costruito su una documentazione rigorosa (senza però mai cedere all’impianto saggistico, che ne avrebbe spento la capacità di coinvolgimento), portato avanti con la forza argomentativa di una contesa (umana, logica, etica), il romanzo di Mariapia Veladiano è animato, dalla prima all’ultima pagina, da una furia mite e sedimentata: quella della protagonista che si investe del compito di tirare giù l’impalcatura di bugie dietro la quale una intera istituzione di uomini copre da secoli la propria impunità schermandosi dietro la parola chiesa.

Non è una scelta casuale, questa.
Al tema del femminile, della necessità di uno sguardo altro sul mondo, sulla società, sulla narrazione dei legami, non ultimo quello del sacro,  riportano anche altri titoli dell’autrice – su tutti, Lei, che racconta della vita di Maria e della sua maternità dal suo stesso punto di vista.
Battaglieri, e temperamentosi, i personaggi femminili delle narrazioni dell’autrice lo sono sempre stati, fin dall’esordio del fortunato La vita accanto (Einaudi).

Ma in questo caso la scelta di non sottrarsi, di non transigere di fronte alla violenza, si salda nella coscienza della protagonista – che coerentemente si chiama Chiara – al suo mestiere di cura: fare la fisioterapista significa esercitare la pazienza, perseverare con saldezza nella possibilità di una riparazione, ma anche percepire a fondo la ferita, il modo in cui il corpo manifesta il male e ingaggia una partita nella quale può anche soccombere.
E se il male è causato proprio da una istituzione di cui ci si fida, e a cui ci si affida, quanto più grave è la sua colpa? Troppi pazienti hanno portato il dolore sotto le sue mani di professionista, troppe violenze hanno finito per invadere tessuti connettivi e articolazioni, troppe storie taciute hanno trovato la strada di un minimo movimento per far defluire la disperazione. Una, in particolare, è quella che ordina a Chiara Camillini urgenza; una che occupa la sua mente con la minaccia di una resa estrema. “Una vita è in pericolo. Forse due”.   

Ecco, allora, quello che è il tema di questo romanzo: una storia di abuso sessuale, ma anche una storia degli abusi collaterali esercitati per mantenere il sudicio sotto silenzio, e ancora una storia del sistema di scandalosa disperazione causata a bambine, bambini, danneggiati per sempre, (e di colpevole cancellazione delle vittime). Cioè, in buona sostanza, quello che Dio della polvere racconta è una storia di potere.
Che la protagonista sia una donna di fede, e dunque non sia esterna ai meccanismi e al lessico della chiesa cattolica è il dispositivo che rende la vicenda ancora più forte, riparandola da antitesi di sistema, e trascinando al contrario i fatti dentro la tragedia integrale del tradimento della fiducia e dell’innocenza.
Seduta nello studio del vescovo (al quale ha strappato con insistenza un appuntamento), Chiara attacca subito:

“Non c’è perdono senza giustizia”

Questa sarà la tesi irrinunciabile intorno alla quale il vescovo verrà trascinato, provocato, sfidato, stanato di argomentazione in argomentazione: una guerra di posizione consumata sul filo della tensione, con la possibilità di una chiusura sempre presente, dentro stanze che hanno orecchie, ciascuno dalla trincea della propria sedia troppo scomoda, senza sconti.
L’ambiguità, l’omissione, saranno i compagni stretti dell’investigazione, costretta a procedere tra le bivalenze del microcosmo vescovile: un segretario sagace e spigoloso, una suora trilingue, l’abbaiare di un cane, un giardino che non viene guardato da nessuno, statue di Madonne dai polsi doloranti, quadri che rivelano più di quello che gli artisti avrebbero voluto dire, ombre, registri di enti benefici, viaggi riparatori, fughe possibili, sacerdoti sostituiti…  

Che Dio della polvere sia un romanzo non c’è alcun dubbio. Che sia (anche) qualcosa di più di un romanzo, neppure.
C’è sicuramente una denuncia perentoria in questa storia paradigmatica, nella quale una donna sola si presenta a reclamare giustizia nel nome di una sua paziente (e nel nome di tutte quelle, e di tutti quelli, che non hanno potuto chiedere: perché la paura, la minaccia, la vergogna, il danno, il dolore se li è mangiati).
Ma è anche un altro aspetto che emerge fortissimo, e, forse, non poco dipende dalla formazione dell’autrice, che è laureata in filosofia e teologia, ed è anche una donna che nella scuola ha fatto tutta la sua carriera, prima da insegnante e poi come preside.

Questo libro offre strumenti.
È, in qualche modo, un antidoto. Un antistaminico alla polvere. Offre una via. Mette allo scoperto il linguaggio della manipolazione e dell’omertà – e, in questo, permette di capire, di prendere una posizione.
Lo fa nella didattica di una narrazione: che, poiché racconta, mostra una storia sulla quale è possibile proiettare la propria coscienza. Così fanno i romanzi – esattamente, profondamente, umanamente – civili.

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