I dualismi raffinati, gli equilibrismi al limite della rottura, la cultura di Giuseppe Maraniello. Una importante mostra alla Fondazione Marconi, da cui si esce decisamente soddisfatti.
L’anfesibena è “un serpente con due teste, una al suo posto e l’altra sulla coda, e con entrambe può mordere, e corre con prestezza, e gli occhi brillano come candele”. Così Brunetto Latini, nel suo Tresor, descrive il mitico serpente, nato dal sangue colante della testa di Medusa, mentre questa sorvolava la Libia cinta nel pugno di Perseo. Letteralmente anfesibena significa “che va in due direzioni”, cioè gli opposti, che per natura s’attraggono, o meglio, non possono fare a meno l’uno dell’altro.
Ed è proprio su questa dualità attraente-opponente che si gioca la poetica dell’artista napoletano Giuseppe Maraniello (Napoli, 1945), che non a caso ha intitolato la sua mostra antologica alla Fondazione Marconi Attratti. Questo è anche il titolo di una delle sue ultime opere, che regna, per bellezza e dimensioni, all’interno della mostra: nove metri di pittura e scultura, contenute precariamente da legni grezzi dal sapore poveristico. Un altare ligneo teutonico, ma anche un maxischermo al plasma.
Maraniello nasce come fotografo e ben presto si sposta, in pieno concettualismo anni ’70, sulle arti tradizionali. Le sue opere stanno in equilibrio tra pittura e scultura, bidimensionalità e tridimensionalità, tradizione e innovazione. È un balletto, un Tango, citando il titolo di una sua opera, o un Salto con l’asta, richiamandone un altro, da un pieno a un vuoto e viceversa. Le opere di Maraniello sono popolate da personaggi mitici: l’anfesibena, appunto, ma anche ninfe, saggitari, tuffatrici elleniche.
In questa atemporalità c’è spazio per ogni dualismo, anche per quello topico tra il bene e il male, lo yin e lo yang, presente non solo nel mondo esterno ma prima di tutto in noi stessi. Infatti una figura tutta particolare del mondo di Maraniello è certamente lo Scorpio, un saggitaro con la coda dello scorpione: immagine della lotta contro il nostro io, del “conosci te stesso” socratico.
Numerose sono le fonti di Maraniello: da Lucio Fontana alle tuffatrici e nuotatrici di Arturo Martini; ma anche Osvaldo Licini, i cui angeli ribelli hanno tante analogie con gli scorpionici centauri dell’artista partenopeo. A questi si aggiunga l’immancabile e sornione Duchamp, che si infila quatto quatto nei titoli-calembour Mo-menti, Ri-flettere, oltre che in un certo equilibrismo limitrofo al nulla, condiviso dallo stesso Licini.
È una bella mostra quella che occupa i tre piani della Fondazione Marconi, curata in ogni dettaglio, a partire dalle utili piantine con le foto delle opere e le didascalie. Ne emerge un artista che è riuscito nel non facile intento di bilanciare un’originale vena narrativo-allegorica con i concettualismi delle avanguardie.
“Giuseppe Maraniello. ATTRATTI”, Fondazione Marconi, fino al 28 febbraio 2015.
Foto: Giuseppe Maraniello, Rebis, 2002. Courtesy Fondazione Marconi.