Amarezze famigliari, firma Thomas Bernhard

In Teatro

La compagnia Lombardi Tiezzi rilegge Thomas Bernhard e porta in scena uno dei suoi testi più amari, «L’apparenza inganna»

Coi suoi monologhi fitti e ammorbanti, i suoi dialoghi rigorosamente inconcludenti e la sua vocazione alla metateatralità, a distanza di ventotto anni dalla sua morte l’austriaco Thomas Bernhard continua a proporsi come una sfida seducente per registi e attori ambiziosi. È proprio per questo che – con intervalli sempre più brevi – le sue grondanti ed enigmatiche drammaturgie si rincorrono sui palcoscenici milanesi, da Il teatrante di Franco Branciaroli al Piccolo Teatro a L’ignorante e il folle di Bruni e Frongia all’Elfo Puccini, proseguendo col recente Minetti con Roberto Herlitzka (sempre al Piccolo Teatro) fino a L’apparenza inganna della compagnia Lombardi-Tiezzi al Franco Parenti.

Tra ipocondrie totalizzanti e fissazioni multiformi, quest’ultimo spettacolo ha un retrogusto woodyalleniano, o forse sono certi film di Allen che hanno una venatura bernhardiana. Fatto sta che L’apparenza inganna, rappresentato per la prima volta nel 1983, si direbbe un parente europeo del celebre Hannah e le sue sorelle, distribuito tre anni dopo. La somiglianza sta nella centralità del tema del condizionamento tra fratelli, uno degli aspetti più insidiosi della vita familiare, con strascichi interminabili e a volte drammatici.

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Foto di Luca Manfrini

Nel film di Allen la Hannah di Mia Farrow viene accusata dalle sorelle di essere una overachiever, un irraggiungibile modello di talento e di perfezione, mentre il Karl della commedia di Bernhard ha prodotto delle irreversibili crepe nell’animo del fratello Robert, vivisezionandolo durante tutto il corso delle loro vite con la sua implacabile disapprovazione e incontentabilità. Sia in Allen che in Bernhard inoltre la “cultura alta” (musica, teatro etc.) viene usata in modo competitivo, quasi punitivo, come uno strumento più di sopraffazione che di elevazione.

Se però in Allen le sorelle di Hannah erano ancora in tempo per venire a capo del loro odio/timore reverenziale per Hannah e per trovare da sole il proprio spazio nel mondo, nel testo di Bernhard i due fratelli sono troppo vecchi per correggere il proprio rapporto: Robert – debole com’è – non può più spezzare le catene della soggezione che prova per Karl, può solo piagnucolare in solitudine.  Allo stesso modo Karl – a cui è appena morta la moglie che ha tormentato per trent’anni – non è in grado di liberarsi dalla schiavitù della propria inavvicinabile eccentricità. I loro non-battibecchi (in cui l’aggressività è sempre implicita) non portano a niente e ogni proposito di cambiamento risulta essere una finta.

Il Karl di Sandro Lombardi è un burattino mosso dalle sue stesse manie, che reagisce pavlovianamente ad ogni stimolo con una grammatica mimica a tratti davvero geniale, mostrandosi più istrionico del fratello, che pure è attore di professione. Lo spompato Robert, interpretato portentosamente da Massimo Verdastro, è invece un fantoccio dall’identità incerta, il cui vero Io sembra coincidere solamente con un silenzioso rancore e con malattie più o meno immaginarie. L’elegante regia di Federico Tiezzi permette ai due attori di avere una padronanza assoluta delle proprie personalità sfuggenti e delle proprie biografie poco chiare, nonché degli spazi che abitano (le scene di Gregorio Turla sono divise in due sale del Parenti) e che sono “casa loro” in senso sia letterale che figurato. I misteri del testo non sono spiegati, ma sono approfonditi con un lavoro che dovrebbe essere di esempio a chiunque voglia accettare la suddetta seducente sfida di Bernhard: solo così l’inevitabile frustrazione creata dal finale (che non risolve nulla) potrà essere altrettanto fertile e positiva.

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