Frutta, caffè e poi un suicidio

In Teatro

“Prima di andar via” di Filippo Gili, regia di Francesco Frangipane, è la cronaca di una giornata particolare in una famiglia dove il figlio annuncia la volontà di uccidersi

Siamo alla frutta. Non è un modo di dire: nei piatti ci sono ancora le bucce di fine pasto, vestigia di quella che sembra essere stata una cena lieta, fatta di chiacchiere in famiglia, di scherzose scaramucce tra sorelle, di dialoghi che si accavallano a mostrare quella briosa concitazione tipica di un’intimità affiatata, domestica.

Manca solo il caffè e poi il rito sarà concluso, pronto a rinnovarsi la prossima settimana quando la coppia di anziani genitori, le due figlie e il taciturno primogenito saranno chiamati a celebrarlo nuovamente: la vita è ciclicità d’affetti. Non per tutti, però. Francesco, così si chiama il figlio maggiore, ha deciso che “domani mattina non sarà più vivo” e lo comunica ai congiunti: annichilito dalla morte della moglie non vuole imparare a digerire il suo dolore, a renderlo tradizione del suo vivere mentre aspetta un assestamento emotivo. Vuole morire. Punto.

Prima di andar via, scritta (e interpretata) da Filippo Gili, è una tragedia sospesa: il dramma si fonda su un’intenzione, una “sventura in potenza” che non è detto debba farsi atto, ma che, come un gas venefico, intossica gli animi, fa lacrimare gli occhi, stana dai propri nascondigli tutti quei non detti che abitano segretamente in una famiglia normale, che si vuole bene.

Già perché il motivo per cui Francesco annuncia il proprio suicidio, frantumando ogni serenità, non è dovuto a risentimenti nei confronti dei propri cari, non si tratta di una minaccia, di una vendetta, e nemmeno di un ricatto, anzi, per come la vede lui, il suo è un dono: ciò che vuole offrire ai parenti è la consapevolezza piena del suo gesto, perché, dopo, possano vivere in pace, evitando un “dolore sbagliato”, fatto di rimorsi e sensi di colpa.

Ciò che colpisce maggiormente nello spettacolo diretto da Francesco Frangipane è l’uso del tempo come elemento catalizzatore della drammaticità: ad attivare i ricettori emotivi degli spettatori non sono infatti semplicemente le scene ad alto tasso di pathos ─ come nel caso dell’efficace abbraccio materno che degenera in lite ─ quanto la capacità di conferire matericità al dolore rappresentandolo attraverso la sua durata interiore.

Come moto ondoso la dimensione temporale di Prima di andar via sa gonfiarsi, riesce a espandersi fino a diventare schiacciante attesa dell’ineluttabile o introspettivo momento di rêverie, poi, in un attimo, si contrae: fulminea, asseconda i faccia a faccia più duri, gli strepiti di disperazione, cesella istanti di tenerezza lancinante.

La retorica è dietro l’angolo e se lo sguardo vitreo e dolente di Gili (un po’ alla Donald Sutherland per intenderci) la tiene lontana, non sempre è così per le “sorelle” Aurora Peres e Barbara Ronchi le cui battute rivelano, in qualche circostanza, un sentimentalismo studiato. Glielo si perdona. Giorgio Colangeli e Michela Martini completano, sontuosamente, il cast.

Prima di andar via di Filippo Gili, regia di Francesco Frangipane. Fino all’8 febbraio al Teatro Elfo Puccini.

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