Si piange e si ride nel film del regista-attore romano, che parla di elaborazione del lutto e cinema nel cinema: grande cast, straordinaria Giulia Lazzarini
Ogni film di Nanni Moretti non è “solo” un film di Nanni Moretti. È sempre, anche, un rito collettivo, un appuntamento emotivo al quale si presentano, ci presentiamo, in tanti. È dai tempi di Ecce Bombo che i film di Nanni provocano un effetto-specchio: la gente si riconosce, a volte per motivi generazionali (i film del periodo-Apicella, figli degli anni ’70) a volte per motivi politici (La cosa, Palombella rossa, Il caimano, ecc.). Mia madre non fa eccezione. Anzi, potrebbe rendere ancora più intenso questo processo di identificazione. È un film che non ha un tirante “sociale” forte, non ha Berlusconi né il Papa come protagonisti.
Racconta però una storia nella quale tutti possiamo trovare accenti, momenti, spunti che ci scuotono fin nelle viscere. Due fratelli (Giovanni e Margherita, rispettivamente Moretti e Margherita Buy volutamente con i loro veri nomi) affrontano la malattia e il graduale spegnersi della mamma anziana (una Giulia Lazzarini che, se il film fosse americano, vincerebbe l’Oscar a mani basse). Il dolore li porta a riconoscere ciascuno l’esistenza dell’altro. Margherita, la vera protagonista, è una regista cinematografica (la seconda nel cinema di Nanni dopo la Jasmine Trinca del Caimano). Sta girando un film “civile” su una fabbrica i cui operai sono in lotta per il posto di lavoro. Il nuovo padrone, che viene dall’estero, è interpretato da un divo americano che, appena sbarcato a Roma, vuole andare in via Veneto: si chiama Barry Huggins, dice di aver lavorato con Kubrick ed è interpretato da John Turturro, bravissimo e autoironico.
Giovanni è un ingegnere che, per star vicino alla madre malata, si è messo in aspettativa e forse non ritroverà il suo posto alla fine di questa ordalia. Dei due, è quello “solido”, che affronta le cose razionalmente e ascolta con la maggior lucidità possibile quel che dicono i dottori. Margherita, invece, è una donna in fuga: da un film che non la interessa più, da un divo pazzo che la mette in difficoltà, da una vita privata a pezzi (un ex marito, un amante appena lasciato, una figlia somara in latino che era, non a caso, la materia insegnata al liceo dalla mamma/nonna). In generale, dalla responsabilità.
Il film racconta una cosa che tutti, prima o poi, viviamo, sapendo che è impossibile: la preparazione al lutto. In La stanza del figlio la morte arrivava all’improvviso ed era scandalosa, inaccettabile. Qui si insinua nelle vite di Margherita e Giovanni e sembra dire: vedete, sto arrivando ma faccio parte della vita, è una ruota che gira, tutti devono prima o poi dire addio ai genitori. È un inganno: non si è mai pronti, per quanto ci si prepari. Mia madre è la storia di questo inganno – e della sua accettazione.
Uno dei momenti più toccanti e più veri del film è quando, dopo che la madre è morta, i due figli incontrano alcuni suoi ex alunni, più o meno loro coetanei, che raccontano di una persona completamente diversa da quella che Giovanni e Margherita hanno conosciuto: un punto di riferimento, una confidente, una “seconda madre”. Fratello e sorella si guardano: staranno parlando della stessa persona? Anche a questo Margherita dovrebbe essere pronta, visto che poco prima aveva scoperto che la nonna sapeva tutto di un amore finito della nipotina, la quale ne aveva molto sofferto. E lei, figlia della prima e madre della seconda, non si era accorta di nulla.
Mia madre scava nei rapporti familiari e affettivi come una sonda discreta e affettuosa. È un film caldo, terribilmente coinvolgente. Ma un film di Nanni Moretti, si diceva, non è mai “solo” la storia che racconta o sembra raccontare. Così Mia madre è, salvo omissioni, il terzo film di Moretti in cui la primissima scena che vediamo sullo schermo è, in realtà, un film nel film. Iniziavano così anche Ecce Bombo e Il caimano. Poi lo sguardo si allargava e scoprivamo di essere dentro un film, o su un set.
Qui la scena d’apertura è un corteo di operai che grida slogan contro i licenziamenti e affronta un cordone di poliziotti armati di scudi, caschi e manganelli che sembrano usciti da Diaz: è il film che Margherita sta dirigendo, intitolato Noi siamo qui, ma sarebbe stato bello se Nanni avesse scelto come titolo I metalmeccanici hanno pochi fucili, ovvero il film che si girava nella prima sequenza di Ecce Bombo (Michele Apicella, in visita sul set, pensava si trattasse di Il capezzolo d’Oriente). Il cinema nel cinema resta una costante del cinefilo Moretti, ma in lui la cinefilia non è mai gratuita: Noi siamo qui è la chiave per parlare di lavoro, uno dei temi sommersi del film. Anche la mamma era una lavoratrice, e non smette fino all’ultimo di dare ripetizioni di latino alla nipote. La morte e il lutto allontanano la crisi, ma non la cancellano.
Giulia Lazzarini è di una bravura a tratti quasi disumana e Mia madre fa capire quanto sia stato cieco il nostro cinema a non vedere quale tesoro di talento e di umanità si nasconde in questa piccola donna che ha fatto grande il Piccolo di Giorgio Strehler e in generale il teatro italiano. John Turturro è quello cui spetta far ridere: sappiate che si piange, vedendo Mia madre, ma le risate – grazie alle scene sul set – arrivano. Come nella Stanza del figlio: Moretti sa far ridere e piangere insieme. Ci sono riusciti in pochissimi. Uno si chiamava Charlie Chaplin.
Mia madre di Nanni Moretti con Nanni Moretti, Margherita Buy, Giulia Lazzarini, John Turturro
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