In viaggio nello spazio con i Giuda

In Interviste, Musica

La band romana torna in tour con un nuovo album, “E.V.A”. Noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per scoprire in anteprima questo loro nuovo lavoro

Nella musica dei Giuda ci sono tutta la potenza e la grinta del rock’n’roll più puro. Possiamo aspettarci queste caratteristiche anche nel loro prossimo lavoro? Il 5 aprile uscirà infatti E.V.A. e noi abbiamo approfittato dell’occasione per fare qualche domanda a Lorenzo Moretti, voce e chitarra della band.

Salve ragazzi. Vorrei cominciare con una domanda che magari vi hanno già fatto un milione di volte: come mai avete scelto questo nome così particolare?
Omaggio alla chiesa di Satana. Scherzo (ridono)! In realtà è stata una scelta puramente estetica, è un nome di forte impatto che rimane ben stampato nella mente, facile da ricordare ed è bello da veder stampato sulla copertina di un disco.

Fotografia © www.giuda.net

Passando invece al vostro nuovo album E.V.A., in uscita il 5 aprile, cosa intendete con Extravehicular Activities? Qual è la vostra attività extra veicolare?
Lo spazio è stato la nostra ispirazione ed è un tema ricorrente sia nei testi che nelle sonorità che permeano il sound dell’album. Le E.V.A. (extra vehicular activities/attività extra veicolari), sono delle operazioni molto delicate, delle manovre che gli astronauti compiono al di fuori del modulo spaziale per eseguire, ad esempio, una riparazione dello stesso, e per le quali serve veramente molta audacia. Anche noi abbiamo registrato un disco coraggioso, senza compromessi, nel quale abbiamo seguito il nostro istinto cercando di integrare le nostre chitarre distorte ai sintetizzatori che, fino ad ora, non erano mai stati così protagonisti nei nostri lavori.

Negli anni ’60 la specie umana ha visto concretizzarsi la possibilità di viaggiare nello spazio. Il concetto di questa nuova frontiera, così vicina e allo stesso tempo lontana, ha influenzato grandi artisti, da Bowie a Kubrik, accomunati dalla visione di uno spazio non ben definito ma che avrebbe riservato grandi soprese alla specie umana. Il vostro è un album che è praticamente tutto ambientato fuori dalla Terra, perché? Qual è il vostro concetto di spazio?
Lo spazio rappresenta l’ignoto, il viaggio, la ricerca dell’ esistenza di altre forme di vita. Tutti temi che oggi, nella nostra società, sono purtroppo ribaltati. Viviamo in un paese dove ci si sente più sicuri se i nostri confini restano chiusi, dove si teme il diverso, che viene visto come un pericolo. Viaggiare per noi, oltre ad essere un piacere, è parte del nostro lavoro, e in questi anni in cui siamo stati costantemente in tour abbiamo avuto la certezza di quanto certi luoghi comuni lascino il tempo che trovano, e di quanto invece l’ incontro con altre culture rappresenti una ricchezza.

Il video del vostro prossimo singolo in uscita il 22 marzo, Space Walk, mostra un insieme di spezzoni di vecchi film ambientati nello spazio in stile Fascisti su Marte, alternati ad immagini prettamente scientifiche. Ogni tanto però compaiono dei volti truccati ed altre cose che lasciano supporre che anche voi siete alieni. Il senso di questo video, musicalmente parlando, è collegabile con la vostra anima internazionale (o internazionalista, se vogliamo scomodare la politica) che ora diventa addirittura interstellare?
Sì, ci sentiamo degli estranei, o meglio degli alieni, in questa società che non ci rappresenta, in cui le conquiste del passato vengono rimesse in discussione da una classe politica demagoga. Non è sicuramente questo il nostro pianeta ideale, e la nostra missione, come si evince nel video di Space Walk, è quella di viaggiare attraverso la galassia per trovarne uno dove ci siano le condizioni ideali per tutti noi.

I vostri album si distinguono per un sound potente e definito, ma E.V.A., a mio avviso, lo è ancora di più. Le canzoni sono come un gruppo di statue estratte da un unico blocco di marmo. Nel caso questa similitudine vi trovi d’accordo, come siete riusciti a creare questo sound? È frutto di un’alchimia quasi involontaria o c’è un disegno ben definito dietro? O forse entrambe le cose?
Il nostro sound è frutto di una ricerca costante e maniacale, di una naturale evoluzione che trae ispirazione dal nostro background. I dettagli sono alla base del nostro lavoro, nulla è lasciato al caso. Ascoltare un disco tenendo in mano la copertina ed assaporarne i particolari è come andare al cinema, puro intrattenimento. Io mi preparo anche i popcorn!

Come è stato detto più volte la vostra musica trae ispirazione dagli anni ’60 e ’70, due decadi fondamentali per la musica ma anche per la società: la vostra tensione verso quel periodo è legata quindi solo alla musica, nei suoi aspetti più generali, o avete anche una certa “nostalgia” di un momento storico così vibrante per la cultura, la società, la politica ecc.?
Non siamo nostalgici e non vogliamo vivere nel passato, ma è vero che le nostre influenze appartengono perlopiù a quelle due decadi, gli anni 60 e 70, in cui a livello artistico tutto è cambiato. La nostra è una band moderna che ha modellato il proprio sound facendo tesoro del passato, ma riportando il tutto nel 2019, creando pian piano qualcosa di originale e, a mio avviso, di unico.

Dopo dodici anni così intensi com’è cambiato il vostro rapporto con la musica, con il suonare vero e proprio? C’è sempre la stessa adrenalina, la stessa “paura” o lentamente per alcuni aspetti è diventato un lavoro, una routine?
Io e Tenda, il cantante del gruppo, suoniamo insieme da quando eravamo bambini. Io avevo appena dodici anni e con lui passavo i pomeriggi chiuso in una sala prove alle porte di Roma. Da allora la musica, da semplice passione, è diventata il nostro lavoro e negli anni sono cambiate moltissime cose, tranne l’attitudine e la voglia di suonare che sono rimaste immutate, le stesse di allora.

Chiuderei chiedendovi quali sono i vostri ascolti preferiti, la vostra comfort zone, sia del passato sia del presente.
Di ascolti preferiti ne abbiamo tanti e anche abbastanza diversi. L’ultimo disco che ho messo sul piatto è degli Oister, ovvero la pre-Dwight Twilley Band. In questi ultimi mesi poi, per via di una consulenza musicale che ho tenuto, e tengo tuttora, per il programma RAI “Prima Dell’Alba”, ho selezionato e ascoltato tantissime colonne sonore. Carpenter è stato tra i più gettonati e, tra l’altro, sicuramente influente nella realizzazione del nostro ultimo disco.

Grazie ragazzi, ci vediamo il 12 aprile qui a Milano!
Grazie a te!

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