Atlante: un viaggio nello spazio più nero

In Musica

Abbiamo fatto due chiacchiere con gli Atlante, band dell’underground torinese che collega suoni rock e grunge d’oltreoceano con testi rigorosamente scritti in italiano

Il primo di Ottobre è uscito Terra, il terzo video estratto dall’EP Nello spazio più nero degli Atlante, band dell’underground torinese che collega suoni rock e grunge d’oltreoceano con testi rigorosamente scritti in italiano. È da questo ultimo singolo che voglio iniziare a parlarvi di loro. Terra è un piccolo pianeta introspettivo, crudo, intenso e pieno di risorse. Presentata in modo diverso rispetto a come la troviamo nell’EP, proprio in questa versione rende maggior giustizia al talento della band; parte con la voce malinconica di Claudio, accompagnata dalla sola chitarra acustica, per poi evolversi in un intreccio di violini, fino a culminare con un dialogo suggestivo tra i mallet che battono sui timpani e i violini stessi. Le parole seguono lo stesso ritmo semplice e struggente degli strumenti in una lenta e delicata presa di coscienza dello spazio nero che in certi momenti di sconforto e delusione si prende possesso di tutti noi.

Non sento più niente, ho le orecchie tappate dai suoni di questa città.

Lo stesso spazio è il leitmotiv di tutte le canzoni presenti nell’EP, ma assume particolare rilevanza nel testo e nel video di Diciannove. La location è una camera spartana, colma di poster appesi ai muri, ripresa con camera fissa. La band suona il suo pezzo, ma, attorno a loro, le persone leggono, scrivono, dormono, mangiano e chattano al cellulare. L’effetto è una descrizione visiva della solitudine moderna vista da un ragazzo di diciannove anni.

 

Per capire la dimensione e l’origine del questo spazio nero interiore, abbiamo posto alcune domande ai tre membri della band, che, per sound e attitudine sul palco, consiglio vivamente di vedere in uno dei loro energici live.

Cominciamo dal vostro nome: “Atlante”, da dove viene?
Il nome Atlante deriva principalmente dalla figura mitologica. I primi tempi Claudio aveva un diario dove annotava tutti i testi delle canzoni e tutto ciò che gli passava per la testa: frustrazioni, pensieri e riflessioni quotidiane della vita. Quel diario nel tempo ha preso il nome di Atlante, dato il fatto che si portava addosso tutto il suo mondo. Essendo i testi del gruppo lo specchio di ciò che contiene quel diario, piano piano ha preso forma l’idea di chiamarlo così. Molto più semplice di quanto possa sembrare.

Faccia parla dell’apatia di un ragazzo verso quello che ha attorno. Qual è la vostra ricetta per provare ad uscirne?
Molte volte ci sentiamo persi davanti all’immensità della vita, perdiamo i punti di appoggio solidi, viviamo momenti di smarrimento. Semplicemente ci siamo resi conto che le altre persone spesso sono ciò che dà stabilità, gli altri ti fanno capire qual è la tua strada, che cos’è che vuoi veramente e chi sei.

In Forse vivo dite: “Siamo noi che passiamo nel tempo”. Qual è la vostra concezione del tempo?
Non ci piace la concezione del tempo come entità in movimento, invecchiamo non perché il tempo scorra, il tempo è fermo, siamo noi che ci passiamo dentro e ne subiamo le conseguenze.
Un esempio del pensiero che ha ispirato questa frase può essere una traccia audio ascoltata su un programma di registrazione; il tempo può essere visto come la traccia sul monitor, noi invece siamo la barra che da quando si schiaccia play si muove dall’inizio alla fine, passandoci attraverso.

Il vostro terzo singolo Terra è presentato in maniera rivisitata in una versione acustica, diversa da quella che troviamo nell’EP. Cosa c’è all’origine di questa scelta?
L’origine di questa scelta deriva dal fatto che ci sarebbe piaciuto proporre al pubblico un ulteriore singolo che, tuttavia, sarebbe stato già edito, data l’uscita dell’EP a Marzo. Abbiamo quindi pensato con il nostro produttore Fabrizio Pan di proporre una versione alternativa di Terra così da renderla “inedita” anche per quelli che già ci conoscevano.

Nel video di Diciannove si può leggere sullo sfondo un cartello che recita “You are our mountain, you are our sea”, chiara citazione di uno dei vostri riferimenti musicali. A chi vi ispirate?
[Ride]… sei davvero attento! Si, una delle nostre fonti di ispirazione principale sono i Biffy Clyro (soprattutto negli album Puzzle, Only revolution e Opposite) per il sound, le idee ritmiche e i testi. Per la super cazzutaggine dei breakdown siamo rimasti in fissa con gli Arcane Roots e adoriamo i Nirvana per la loro attitudine grezza. Tra gli artisti italiani invece i nostri riferimenti sono i Fast Animals and Slow Kids, i Nadàr Solo, Niccolò Fabi e Daniele Celona.

Qualche mese fa avete partecipato a uno dei secret concert del Sofar Sounds a Torino. Ci raccontate che esperienza è stata?
Potremmo definirla calorosa. È stato bellissimo suonare tre pezzi in un luogo non propriamente consono ad un concerto (si trattava di un atelier di moda). Eravamo a stretto contatto con un pubblico seduto a terra con un bicchiere di vino in mano, attento, silenzioso ed entusiasta per la serata. Andrea si è talmente innamorato del format che ora fa addirittura parte dello staff.

Cosa c’è nel futuro degli Atlante?
Sesso, droga e rock’n’roll! A breve entreremo nuovamente in studio per incidere un nuovo singolo che darà il via alle registrazioni del nostro primo album, in uscita nell’anno nuovo.
Poi vogliamo suonare suonare suonare suonare suonare suonare (anche per strada). Uno dei nostri intenti futuri sarà infatti quello di tentare di uscire fuori dal Piemonte, quindi approfittiamo di questa intervista per lanciare un appello a Milano. Oltretutto suoneremo al Rock n’ Roll di Milano il 2 Dicembre. Ci potremo vedere lì e poi chissà!

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