Il regista tre volte oscar per “Birdman” e una per “Revenant” si mette in scena nel personaggio di un giornalista e documentarista all’apice del successo e insieme in crisi di identità. Impersonato dall’ottimo Daniel Gimènez Cacho, dà vita a un bilancio onirico della propria carriera e della sua vita, sempre in bilico tra realtà e funzione, in un film scompensato che incanta e disturba. Storia di un “emigrante di lusso” pieno di dubbi, è anche una riflessione sul vivere lontano dal proprio paese
Una figura che corre, forse vola, al di sopra della superficie scabra e aggrovigliata del deserto. Linee che si inseguono, inciampano e decollano, esitano, si fermano, riprendono energia e movimento. È questo il suggestivo incipit di Bardo, l’ultimo film di Alejandro González Iñárritu, presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Protagonista è una sorta di alter ego del regista messicano, che di nome fa Silverio Gama (l’ottimo Daniel Giménez Cacho) e ci viene presentato come un giornalista e documentarista all’apice del successo, in procinto di ricevere un prestigioso premio internazionale, corteggiato da produttori televisivi ed esponenti politici. Un uomo dominato dall’ambizione ma divorato dalla sindrome dell’impostore, privilegiato da tutti i punti di vista, eppure incapace di godere di ciò che la vita gli ha regalato. Un infelice condannato a procedere con lo sguardo rivolto all’indietro, sempre implacabilmente puntato verso ciò che non possiede, ciò che ha perduto o non ha mai raggiunto: le conquiste mancate, i figli non nati, le delusioni, quello che avrebbe potuto essere e non è stato.
È una sorta di felliniano 8 ½, il settimo film dell’autore di Amores Perros, Birdman e Revenant, un bilancio onirico della propria carriera e della propria vita, ma anche e soprattutto, come è di moda in questa nostra epoca, un’opera di autofiction, dove il confine fra realtà e finzione è una parete sottile, porosa, uno schermo ingannatore che rivendica la verità nel momento in cui ammette il proprio essere finzione, e lo dichiara spudoratamente fin dal sottotitolo: La cronaca falsa di alcune verità. Una cronaca che si fa cavalcata immaginifica fra desiderio e rimpianto, fra forsennate fughe in avanti e un disperato tornare sui propri passi, in un continuo singhiozzante interrogarsi sul proprio destino, e su quello del proprio paese, a partire dalla battaglia di Chapultepec e dai “Niños Héroes” massacrati dagli americani nel 1847.
Silverio Gama è un migrante di lusso, proprio come Iñárritu, ma questa sua condizione di oggettivo privilegio non lo mette al riparo dal disprezzo gratuito di un addetto al controllo passaporti dell’aeroporto di Los Angeles. Certo, tutt’altra condizione rispetto ai tanti clandestini che rischiano ogni giorno la vita arrancando nel deserto, nel tentativo di entrare in California o in Texas, sfuggendo agli spietati controlli della Border Patrol. Ma lungo il confine fra Stati Uniti e Messico nessuno è mai del tutto al riparo dall’imbarazzo e dall’umiliazione, da quella nostalgia venata di rabbia ben nota a chi ha costruito la propria vita a cavallo di un confine, per scelta o per necessità.
Un film smisurato, nel senso di una durata decisamente impegnativa, ma soprattutto perché Iñárritu sembra scegliere, dalla prima all’ultima inquadratura, di non darsi una misura, di ignorare limiti e frontiere. E così riempie fino alla bulimia, fin oltre l’esasperazione, ogni singolo momento di questa opera barocca, eccessiva, debordante, incurante del confine fra sogno e realtà. E infatti il bardo nella tradizione buddista è il limbo tra la morte e la reincarnazione. Il risultato è un film ampiamente imperfetto, che alterna momenti magnifici, commoventi omaggi a Fellini e a Buñuel, virtuosismi che incantano e rapiscono, e divagazioni deliranti, forse superflue, che ad alcuni potranno risultare indigeste. Bardo rimane comunque meravigliosamente coraggioso, nel suo incedere temerario, nel suo impavido proporsi come una vertiginosa e assolutamente soggettiva visione del mondo. Prendere o lasciare.
Bardo – La cronaca falsa di alcune verità, di Alejandro G. Iñárritu, con Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani, Ximena Lamadrid, Íker Sánchez Solano.