Harry Dean se ne va, dispensando lezioni di vita e di cinema

In Cinema, Weekend

A 91 anni e a pochi mesi dalla scomparsa, il grande Harry Dean Stanton, attore icona di David Lynch e protagonista di oltre 200 film e telefilm tra cui “Paris Texas”, ha interpretato il suo eccellente passo d’addio, “Lucky” dell’esordiente John Carroll Lynch. Un uomo che per la prima volta si confronta con la concreta paura della morte, rivive in qualche modo le esperienze di un’esistenza rivelando comunque ancora una gran voglia di amare, emozionarsi. E insieme riconfermando il suo “love affair” con la vita

È davvero un saluto prezioso, ironico e malinconico, tenero eppure energico, quello che ci ha regalato Harry Dean Stanton lo scorso anno con Lucky, passato al Festival di Locarno e ora in uscita nelle sale italiane, l’ultimo film che ha girato prima di lasciarci, a 91 anni, dopo una carriera lunga più di sessanta e con oltre 200 credits all’attivo tra tv e cinema. E che l’ha visto nel cast di titoli come Le colline blu e La calda notte dell’ispettore Tibbs, Pat Garrett e Billy The Kid e Il Padrino II, Marlowe e Missouri, Alien e 1997, Un sogno lungo un giorno, Follia d’amore, L’ultima tentazione di Cristo e soprattutto Paris Texas di Wim Wenders, Palma d’Oro a Cannes 1984, il film che gli ha regalato la notorietà mondiale. Prima di diventare l’attore icona di David Lynch, per il quale ha girato una mezza dozzina di film, da Cuore Selvaggio a Twin Peaks, a Inland Empire.

Harry ha regalato infine al suo Lucky, che vive in una wendersiana (ma anche bogdanovichiana) cittadina ai margini del deserto, di un nulla fra Usa e Messico, sempre meno frontiera eroica e sempre più metafora di un’America che non c’è più, lampi di nostalgia e filosofia (pratica e non); e al suo pubblico lezioni di cinema e di vita. Giunto tutto somma in buona salute alla soglia dei 90 anni, pur fumando un pacchetto di sigarette al giorno e non disdegnando la frequentazione degli alcolici, lui è una sorta di sopravvissuto a tutto. Alle tumultuose recenti vicende del suo Paese, al west e alla natura selvaggia, in fondo anche alla storia dell’immagine che tanto Stanton ha rappresentato.

Le sue diagnosi mediche sono impeccabili, ma dopo una caduta fortuita comincia a temere la morte e la solitudine. E nella strepitosa performance di una vita, in cui mescola elementi autobiografici e tante maschere già indossate in passato per lo schermo, Stanton confeziona con il suo adorabile e sottile understatement una parabola sulla paura e su come affrontarla, ritrovando e infondendo interesse e stupore nella vita anche a quell’età.

In cabina di regia c’è John Carroll Lynch (buon attore, qui debuttante alla grande, a 54 anni, nella regia); nessuna parentela con David, che però si ritaglia il ruolo di un altro anziano solitario,  eccentrico quanto Lucky, che cerca una testuggine centenaria fuggita chissà quando dalla sua casa. Metafora ottimamente gestita di un mondo che sopravvive al passaggio frenetico dell’uomo, alla caducità di esistenze che si affannano a lasciare un segno indelebile.

Il lucido ateismo del protagonista, maestro di anti-climax, finisce per scendere a patti con la voglia di un’ultima emozione, come nella scena della festa di compleanno, in cui canta in stile mariachi per regalarsi un’ultimo raggio di protagonismo e un’ultimo scatto di sentimento, o in quella – quasi un omaggio al bellissimo Una storia vera – del ricordo di guerra condiviso con il redivivo Tom Skerritt. Il suo viaggio interiore in compagnia dei fantasmi della propria vita si concluderà, com’è iniziato, con un’immagine panteistica di natura senza tracce umane.

“Sentirsi soli e stare da soli sono due cose differenti”, recita la battuta più citata della brillante sceneggiatura, opera di  Logan Sparks e Drago Sumonja, che sorregge una regia misurata e evocativa, cromaticamente forte ma che non disdegna il buio del diner, dell’introspezione e dell’inconscio. Per una commedia, più razionale che amara, sulla senilità, in cui la voglia di amare, emozionarsi, vivere, non soccombe, trovando anche filosofiche, convincenti motivazioni, per riaffermare la sua forza.

Lucky, di John Carroll Lynch, con Harry Dean Stanton, David Lynch, Ron Livingston, Ed Begley Jr., Tom Skerritt, Beth Grant, James Darren, Barry Shabaka Henley, Yvonne Huff, Hugo Armstrong

 

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