I grugniti di Turner, genio indecente

In Cinema

Lo strepitoso Timothy Spall dà voce e volto, perfino con humour, a una figura impresentabile e immensa: che tiranneggia gli umani e “inventa” l’impressionismo

Naufragi, cieli infuocati, treni a vapore

Due olandesine raccontano di un uomo faceto, che rimpiange di non esserlo tanto quanto il pomello della porta che stringe la mano a tutti. Inizia così Turner di Mike Leigh, su quel paesaggio olandese in campo larghissimo: le due donne arrivano da lontano e vivono, ridono, parlano, mentre lui è là, a dipingere, a prendere appunti visivi sul taccuino. Perché Joseph Mallord William Turner non vive la vita, la guarda per tradurla in opere d’arte. Quando deve esprimere sentimenti grugnisce come un maiale, quando deve argomentare lo fa con sarcasmo e ironia in un inglese della prima metà dell’Ottocento, incomprensibile ai più ma affascinante e puntuale in termini di ricostruzione d’epoca (e che avrebbe meritato i sottotitoli, non il doppiaggio).

Al ritorno a Londra trova l’anziano padre, ex barbiere fabbricante di parrucche, diventato suo assistente e promoter, e la devota, innamorata governante Hannah, devastata dalla psoriasi ma buona per qualche coito meccanico, meglio se da dietro. Turner è totalmente anaffettivo: la mamma è morta in un ospedale psichiatrico, l’ex amante Sarah, che in passato gli ha dato due figlie ormai adulte, rivendica denaro ma lui non reagisce e quando può nega anche di essere padre e quando muore il suo è ancora peggio. Lo fanno vibrare solo le visite a Margate, nel Kent, dove aveva studiato e dove ritrova il mare tempestoso che lo ispira.

I suoi dipinti hanno per soggetto naufragi, paesaggi nebbiosi, cieli infuocati, qualche scena mitologica, Annibale che attraversa le Alpi, ma il suo occhio coglie anche quel che succede nel mondo degli uomini: ecco quindi i mercanti di schiavi che gettano a mare morti e moribondi, o il treno a vapore che sfreccia. Ma la sua rappresentazione è assolutamente unica e innovativa, non è la riproduzione pedissequa della realtà anzi un trionfo di sfumature e luminosità che apriranno la strada agli impressionisti. E qui Mike Leigh e Dick Pope, direttore della fotografia, si superano, perché spessissimo riescono a riprodurre il mondo di Turner come lui forse lo vedeva e di certo lo rappresentava.

A Margate, Turner trova anche modo di orchestrare una relazione con l’affittacamere, nel frattempo rimasta vedova: dopo qualche tempo finiscono a Londra, a Chelsea, dove il pittore, in incognito, rimane folgorato e annichilito dall’arrivo del dagherrotipo (con il fotografo Mayall che canta il Nabucco in attesa di impressionare la lastra). Attorno a lui, la Royal Academy è un guazzabuglio di pittori litigiosi che però tollerano il suo aulico anticonformismo (e il film consente di cogliere quel che avveniva nella pittura britannica del periodo, con Constable, Hayden, Stanfield). Almeno sino a quando la regina Vittoria cambia registro morale e i preraffaelliti trovano i loro dieci minuti di gloria.

Lui no, non guarda al passato, e quando lungo il Tamigi passa la Fighting Temeraire, vittoriosa nave da guerra di Horatio Nelson, destinata ormai alla demolizione, mentre gli altri la rievocano con nostalgia, lui la dipinge esaltando il muovo che avanza, ossia il rimorchiatore a vapore che la trasporta, in primo piano rispetto alla gloriosa nave di Trafalgar. Ma nonostante le recensioni favorevoli dell’odioso rampollo Ruskin, Turner è ormai scaricato dai contemporanei, e sbeffeggiato a teatro. Sono questi i momenti in cui Leigh cerca di costruire simpatia attorno a un personaggio geniale, ma umanamente discutibile, e ci riesce grazie alla performance magistrale di Timothy Spall, capace di renderlo spiritoso, di dare significati diversi a un semplice grugnito bofonchiato, ma anche di cantare, magnificamente male, Il lamento di Didone di Henry Purcell, prima di schiattare urlando “The Sun is God”.

Antonello Catacchio

Mister Leigh, grazie di averci deluso

Anzitutto nessuna voce narrante vi prenderà per mano snocciolando esaurienti commenti su chi o cosa, né quando o dove state guardando. Tantomeno i dialoghi vi offriranno epifaniche rivelazioni circa la genesi dell’arte, sul come o perché della sua travolgente evoluzione. Infine mettetevi l’anima in pace: non ammirerete nemmeno lunghi quarti d’ora di riprese “en plein air”, a simulare le impressioni luministiche e cromatiche intrappolate nei quadri del pittore inglese.

Così, al riaccendersi delle luci è forte  il sospetto che questo film voglia, anche, demolire quella vasta gamma di voyeurismi, feticismi e idolatrie, tipica degli amanti dell’arte. Un esempio su tutti, il più palese: siccome Turner figura su qualsiasi manuale, penserete che dev’essere stato per forza una brava persona, una specie di santo dell’arte. Niente di più lontano da ciò che vi aspetta. Senza preavviso, vi troverete al seguito di un uomo capace di imprimersi nella vostra memoria, oltre che per la profonda sensibilità estetica, certo anche per il carattere scontroso, la moralità tutt’altro che esemplare e la stupefacente gamma di grugniti, smorfie, ansimi e sbuffi messa in campo dalla straordinaria interpretazione di Timothy Spall.

A questo appassionato ritratto se ne affiancano altri commoventi, come quelli del padre (Paul Jesson) e di Mrs Booth (Marion Bailey), affettuosa compagna degli ultimi anni di vita del pittore, o gustosamente comici, come quello di John Ruskin (Joshua McGuire), giovane storico dell’arte così saccente e petulante da strappare – suo malgrado – non poche risate.

Il risultato è un quadro tutt’altro che didascalico di quell’Inghilterra vittoriana che, fra serate musicali nelle ville di campagna e vernici alla Royal Academy, si ritrova terrorizzata e affascinata a misurarsi con una modernità inarrestabile, fatta di locomotive, battelli a vapore, dagherrotipi e padiglioni fieristici di vetro.

Quest’anno ricorre il 24esimo compleanno di Joseph Mallord William Turner (1775–1851): non un old master fra tanti, ma uno dei favoriti di casa a Londra. E fino a qualche giorno fa si poteva visitare a Millbank. Tralasciando la giovinezza e accennando appena agli anni spesi a vagabondare in giro per l’Europa, con questo film Mike Leigh ci ha regalato un ritratto, fresco e intrigante, di quello stesso tratto di vita finale del pittore che la mostra alla Tate illustra: ed è stato all’altezza del compito.

Federico Maria Giani

Turner di Mike Leigh, con Timothy Spall, Paul Jesson, Marion Bailey, Joshua McGuire

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