La morte così com’è. Le cartoline di Franco Arminio

In Letteratura

“Cartoline dai morti (2007-2017)” di Franco Arminio fa riflettere su quanto siamo continuamente abitati dal contrasto inevitabile vita-morte

Certamente leggendo Cartoline dai morti (2007-2017), libro noto a tanti e oggi disponibile in un versione rivista e ampliata edita da Nottetempo, non può non venire in mente la celebre Antologia di Spoon River (1915) di Edgar Lee Masters. Non ci si trova quindi davanti a un’idea essenzialmente originale; ma certamente originale, o quanto meno distinguibile, è il modo con cui Arminio fa parlare i protagonisti di questi ipotetici messaggi, inviati a chi vive da una dimensione e un punto di vista “altri” rispetto al nostro. Innanzitutto il linguaggio, piano e colloquiale: «Sono morto con un colpo di tosse mentre provavo a mangiarmi un mandarino». In secondo luogo, mentre l’Antologia dello scrittore statunitense è scritta in versi, anche se mantiene un tono assolutamente narrativo, risolvendosi di fatto in una brevissimo riassunto sulla vita dei personaggi, le Cartoline sono molto più concise (ce ne sono alcune di un solo rigo) e non dicono quasi nulla dei protagonisti se non un accenno al loro mestiere, l’esatto momento della loro dipartita, alcune considerazioni o reazioni psicologiche annesse. Una condensazione contenutistica quindi, fatta anche di accostamenti di immagini, che rende il testo a mio avviso più lirico di quello di Masters. L’effetto inoltre è ben più straniante, perché raccontato con una punta di ironia e con estrema lucidità attraverso notazioni centrate su accadimenti e particolari minimi di quegli istanti. C’è del rimpianto che si coglie sotto l’oggettività cronachistica con cui i vari protagonisti ─ di solito persone comuni, insegnanti, operai, casalinghe, pensionati ecc. ─ descrivono il momento del proprio trapasso; ma è un rimpianto lieve, come se ognuno di loro avesse in fondo sempre vissuto non dico in attesa di quel momento, ma comunque nella consapevolezza della sua ineluttabilità.

Anche il luogo in cui avviene il trapasso è sempre piuttosto normale, il più consueto che chi muore possa riuscire a immaginare: la cucina mentre si prepara il pranzo, il divano mentre si guarda rilassati la TV, una strada secondaria uscendo da un bar. Non di rado si muore in solitudine, o nell’indifferenza dei passanti (o della vita stessa, che continua come sempre) ed è questo forse l’aspetto che rende più tragico quel momento per chi lo vive: la consapevolezza di essere definitivamente soli e non più raggiungibili anche da chi ci ama: «Mi dispiace per te, ho detto a mia moglie che mi stringeva le mani. Nessuno quando stiamo bene ci stringe le mani in questo modo, nessuno». Molte volte si tratta di una solitudine effettiva, che si intuisce presente da tempo nella vita di chi parla; altre volte è relativa solo a quello specifico momento, causata magari dalla distanza che i vivi tendono, per paura, a interporre tra sé e chi muore. Capita di rimanere spiazzati dalla brutalità di alcune narrazioni e al contempo folgorati dalla loro verità, che è in fondo semplice e forse anche rassicurante, se la si accetta per quella che è: «Ero andato in città. Stavo in fila da più di un’ora. Mi si è squarciata una vena nel fondo della testa. Qualche secondo dopo è morto pure il motore della macchina». A volte la successione dei pensieri mostra dei “cali di tensione” (specie nella seconda sezione altre cartoline), come è normale che sia in un testo che tratta in modo lapidario (si può ben dirlo qui) e ripetitivo un tema, spinoso per tutti, come quello della morte. Ma poi, andando avanti, c’è sempre un altro scatto, il presentarsi di una nuova immagine, l’emergere di un dettaglio in una scena o un’intuizione felice che riattivano l’interesse del lettore.

In conclusione, si può trovare con buone ragioni il punto di forza di questo libro nella capacità dell’autore, che da poeta sa concentrare bene il linguaggio e trovare immagini pregnanti, di parlarci in toni lievi della morte senza idealizzazioni, inutili retoriche o eccessi di romanticismo, ma cercando invece di normalizzarla e demitizzarla attraverso un linguaggio essenziale, al punto che, più che un libro sulla morte si potrebbe definirlo un libro sul valore della vita e sull’importanza dei rapporti umani in questo viaggio di sola andata che tutti ci accomuna. Un libro che fa riflettere su quanto siamo continuamente “abitati” dal contrasto inevitabile vita-morte, nonostante il nostro tentativo, oggi più che mai, di rimuoverlo o di negarlo attraverso esibizioni di ottimismo o fatui vitalismi.

 

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