Ren Hang, l’Albatros che l’umanità non è riuscita a salvare

In Arte

il 24 febbraio si è ucciso Ren Hang, uno dei più importanti giovani fotografi contemporanei. Ha lottato per tutta la vita con le censure del regime cinese e i fantasmi della depressione, inventando immagini di disperata vitalità. Ecco chi era.

 

Il 24 febbraio scorso si è conclusa la parabola esistenziale di Ren Hang (1987-2017), fotografo poeta e mago cinese ventinovenne. “Il migliore ed il più magico”.

L’artista allampanato, timido e sempre poco a suo agio si era imposto mondialmente come uno dei padri della fotografia a noi contemporanea e da sempre schierato in prima linea nella battaglia degli intellettuali e artisti cinesi per la loro libertà creativa.

Un immaginario incondizionato ed emancipato che prende forma attraverso visioni surreali ed assurde. Corpi umani destrutturati, che si fondono gli uni negli altri e che ricongiungono con l’elemento naturale; donna  e uomini completamente immersi nella natura o che diventano loro stessi deserti e dune; e poi pavoni, colombe, carpe, tulipani…

Elementi semplici, innocenti che pongono l’attenzione sulla fisicità degli individui veri ed unici protagonisti, perché come disse lo stesso fotografo «le persone vengono al mondo nude e considero la nudità la loro principale forma di originalità. Io colgo la vera esistenza delle persone attraverso i loro corpi nudi».

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Così Ren Hang è andato oltre ogni tabù, manierismo, imbarazzo e censura per raccontare la società cinese nella sua intima passionalità. L’artista, nato e cresciuto nella provincia dello Jilin, anche detta “la Detroit della Cina”, lo ha fatto per scongiurare l’insopportabile eventualità che i cinesi continuino ad essere percepiti come «robot (senza uccelli e senza fighe)», senza una sessualità e sensualità spiccata.

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Da anni malato di depressione, come unica medicina al male di vivere Ren Hang aveva trovato sollievo nella scrittura (di poesie) e nella fotografia, unica disciplina che davvero era in grado di «fargli sentire un forte senso dell’esistenza». Un amore nato spontaneamente al tempo degli studi in comunicazione e portato avanti totalmente da autodidatta. Una macchina a pellicola, minuscoli appartamenti, camere di albergo impersonali, vicino ad un fiume o in una foresta, le variazioni mostrano l’intiuitività del suo lavoro creativo; incredibilmente spontaneo eppure ricercato nell’esprimere la bellezza.

E’ come se qualsiasi luogo, in qualsiasi momento potesse diventare il paese della sua fantasia, come cornice per le sue immagini che si configurano come germogli, sguardi spontanei e non filtrati della vita intima dei giovani cinesi.

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Nella sua breve carriera ha proposto uno stile visivo tanto audace quanto sovversivo per l’ambiente sociale d’origine; tanto da doversi trasferire in Europa (a Berlino) per evitare le continue censure e arresti. Le sue fotografie sono un carnevale di corpi e bellezze botaniche.

Ma la storia dell’arte insegna che molte volte la creatività non sconfigge la sofferenza, e il disagio che diviene patologico. Lo stesso Ren Hang aveva infatti dedicato parte del suo sito personale alla sezione «la mia depressione», una situazione cronica documentata attraverso la sua poesia come si può leggere nella sua ultima retrospettiva, edita da Taschen e curata da Dian Hanson:

in effetti la vita è

un dono prezioso

ma spesso ho l’impressione

che sia stata offerta all’uomo sbagliato.

 

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Il quotidiano «The Beijing News» ha dichiarato lo scorso Febbraio che Mr Ren Hang all’età di appena 29 anni si è lasciato cadere nel vuoto dal ventottesimo piano di un grattacielo.

Come l’ Albatros, Ren Hang è passato per l’aere combattendo la nebbia. Ma si è perso in quel cielo cieco di Pechino.

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