Agosti e Stoppa: il nostro Giovanni Serodine

In Arte, Interviste

Il 31 maggio inaugura la mostra “Serodine nel Ticino”, a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa. Qui in intervista qualche anticipazione su cosa aspettarci…

Il 31 maggio inaugura la mostra Serodine nel Ticino. Solo opere ticinesi, per un artista spesso dimenticato. Una mostra di nicchia? Abbiamo intervistato Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, curatori della mostra, per scoprire più da vicino questo artista, e tutto un mondo che ci ruota attorno.

Giovanni Serodine, Ritratto del padre (part.), 1624, Lugano, Museo Civico
Giovanni Serodine, Ritratto del padre (part.), 1624, Lugano, Museo Civico

Come nasce la piccola mostra alla Pinacoteca Züst di Rancate intitolata Serodine nel Ticino? Inoltre verrebbe da chiedersi fin da subito: «Serodine? Chi era costui?»

Il Serodine che abbiamo provato a raccontare nasce nel 1600; circa ventenne si trova a Roma e si mette a guardare il Caravaggio. Un Caravaggio che nell’Urbe è andato via una quindicina d’anni prima, ma che ha stregato non pochi pittori. Quando Serodine inizia a dipingere, il metodo caravaggesco è già accademia, ma lui cerca di recuperare l’origine di quel messaggio, di quello sguardo così radicale sulla realtà. La mostra nasce con l’idea di raccontare il percorso di questo artista, che arriva a una sorta di caravaggismo in «chiaro», en plein air, nella pala di Ascona, ultimo suo capolavoro e vera ragione della mostra. La parrocchiale di Ascona chiude per restauri e la grande pala, insieme alle due minori in controfacciata, saranno per un po’ di tempo in deposito alla  Pinacoteca Züst: da qui la richiesta, da parte di Mariangela Agliati e di Alessandra Brambilla, di fare una piccola monografica radunando tutte le opere del pittore presenti nel Ticino, che sono in realtà un numero molto prossimo, se non superiore, alla metà del catalogo di Serodine. Poi noi abbiamo pensato di coinvolgere Francesco Dondina per la grafica (che ci accompagna dai tempi del Bramantino) e Stefano Boeri per l’allestimento. Ne è uscito un risultato assolutamente sperimentale, a tratti visionario. Come sempre abbiamo voluto una campagna fotografica nuova, con molti dettagli che permettessero di apprezzare la qualità del pittore: per questo aspetto si è prodigato un fotografo di Ascona, Roberto Pellegrini, e speriamo che il catalogo renda fede alla sua bravura.

Dalle diverse e recenti esposizioni sull’artista sembra tornato quel gusto volto alla comprensione del naturalismo di cui «il Serodine fu così grande confessore»; è proprio così?

Forse vale la pena di partire dalla mostra tenuta a Rancate, tra il 2012 e il 2013 (più che da quella, sempre a Rancate, del 1993, troppo lontana nel tempo, come del resto quella del 1987 di Locarno-Roma), con cui si cerca di collocare Serodine in una carrellata di pittura, caravaggesca e non, nella «Regione dei laghi» e non. In questa nostra mostra il punto era evitare volutamente il contesto, spesso più presunto che vero, e restituire la forza di una monografica secca sull’artista, per farne apprezzare la grandezza. Un Serodine non confuso da emissari o immissari. Volevamo tentare di spiegare il pittore con sé stesso.

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Giovanni Serodine, Incoronazione della Vergine (part.), 1630 ca., Ascona, Chiesa Parrocchiale

In occasione di questa rassegna avete recuperato un nuovo dipinto del grande pittore seicentesco: come si colloca nella sua breve carriera artistica e che significato assume all’interno del congegno espositivo? 

Una delle regole che ci eravamo dati fin dal principio del progetto, l’estate scorsa, era quella di esporre solo le opere di Serodine conservate in Canton Ticino. Troppe proposte negli anni recenti avevano lasciato insoddisfatti, tanto che il nome del pittore risulta spesso speso a torto. Tuttavia abbiamo fatto una deroga, almeno parziale. Nella mostra c’è un dipinto di collezione privata, ma attualmente in deposito presso la Pinacoteca Züst. È una Testa di ragazzo, comparsa in un’asta americana al principio di quest’anno. L’abbiamo collocata all’ingresso della sala: come se con gli occhi di quel ragazzo, circa 1625, si entrasse in una grotta scura popolata, per incanto e per tre mesi, di opere di Serodine. Ma c’è anche un’altra sorpresa: una donazione di pochi giorni fa. Il Cristo deriso della collezione Vivante, già esposto a Rancate tre anni fa e annunciato dal nostro Block notes nel catalogo della mostra sul Rinascimento nelle terre ticinesi. C’è già chi non crede all’autografia. Per fortuna è esposto di fronte alla parte alta della pala di Ascona, dove si vede il Cristo che incorona la Vergine. La fisionomia del Redentore deriso del dipinto già Vivante e di quello deflagrato di luce nella pala asconese è la stessa. Un confronto che non c’è in catalogo, ma che si può fare agevolmente, quasi in modo sincopato, in mostra.

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Giovanni Serodine, Incoronazione della Vergine (part.), 1630 ca., Ascona, Chiesa Parrocchiale

Sono passati molti anni dagli «appunti» di Testori (1987), moltissimi dalle importanti considerazioni di Longhi (1950 e 1954); come viene affrontato oggi il tema: Serodine scultore? 

Giovanni Serodine era sicuramente scultore: a dircelo per prima è un’iscrizione apposta dai familiari su una sua tela donata alla parrocchiale di Ascona, raffigurante Cristo rimprovera i figli di Zebedeo. Lì si dice che era sia pittore sia scultore sia architetto. Il fatto che il fratello scultore si chiamasse Giovanni Battista ha ingenerato molta confusione. Siamo riusciti a verificare un’attribuzione a Serodine tramandata da diverse fonti (una delle quali recuperata da Longhi) relativa alla realizzazione di una Madonna con il Bambino sul timpano della chiesa di Santa Francesca Romana, nel Foro, a Roma: e ci siamo convinti che l’autore deve essere il fratello, come già sospettava Longhi, data la somiglianza con i suoi stucchi di Casa Serodine, ad Ascona. E così pure lo zampino del fratello deve esserci a Paliano nella realizzazione dei «depositi»: le sepolture dei Colonna nella chiesa di Sant’Andrea. Insomma Giovanni resta noto come scultore solo per gli stucchi, un po’ manieristi, della chiesa di Santa Maria della Piaggia a Spoleto, dove realizza anche i controversi dipinti murali. In scultura alla fine si fa fatica a essere caravaggeschi…

Dopo la mostra del 2010 – “Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini” – tornate a Rancate per la seconda volta, come a chiudere un cerchio, come se “Serodine nel Ticino” fosse «il nodo della croce». Insomma, a che punto siamo del vostro viaggio critico?

Torniamo in un posto, la Pinacoteca Züst, dove ci troviamo bene, dove ci sono persone amiche a cui siamo affezionati e che ci permettono di sperimentare (qualcuna di loro dice, scherzosamente, che andiamo lì per divertirci). La mostra sul Rinascimento nelle terre ticinesi è stata la «madre» del Bramantino 2012, al Castello Sforzesco, e del Luini e i suoi figli dell’anno scorso a Palazzo Reale, a Milano. Non sappiamo dire se questo Serodine sarà la madre di altro, certo la radicalità della mostra del 2010 non è stata ancora capita. Basta a dimostrarlo l’infittirsi della bibliografia in questi ultimi anni sugli argomenti dissodati in quell’occasione: argomenti che giacevano, per più versi, inesplorati da tempo. Si è tentato di fagocitare le novità scaturite in quell’esposizione con tanta bibliografia inutile, mettendo i puntini sulle i e non capendo il disegno d’insieme, il pensiero che stava alla base di quella mostra. Questo Serodine entra invece in una situazione, il caravaggismo, dove di bibliografia ce n’è tanta, anche troppa, recente e recentissima, italiana e straniera. Abbiamo cercato di depurare Serodine dalle letture all’ultimo grido, dalle influenze omologanti dei pittori riscoperti nell’ultima ora, nella speranza di restituirgli la sua grandezza. Da Caravaggio a Velázquez e Rembrandt, con uno sguardo solo di sfuggita ai contemporanei. Come fosse un assoluto, quale crediamo sia.

Serodine nel Ticino, Rancate, Pinacoteca Züst, fino al 4 ottobre 2015

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