Se il jazz si insegna tra urla e schiaffi

In Cinema

Corre per 5 Oscar (e ne merita un paio almeno) “Whiplash” di Damien Chazelle, storia del rapporto morboso e violento tra un giovane batterista e il suo maestro

Teller-Simmons ottimi outsider

C’è qualcosa di speciale che lega il cinema alla musica jazz, sin dal lontano 6 ottobre 1927 in cui venne proiettato a New York il primo film sonoro della storia, Il cantante di jazz, diretto da Alan Crosland con Al Jolson bianco camuffato da nero.

A 88 anni di distanza da quello straordinario evento, esce in sala un piccolo gioiellino (candidato a 5 oscar, e ne meriterebbe un paio almeno, visti i film in gara)  che rivitalizza l’incredibile legame, ovvero Whiplash di Damien Chazelle. Il regista statunitense, al suo secondo lungometraggio dopo Guy and Madeline on a Park Bench (e anche lì la musica era protagonista), dirige un’opera violenta e ritmata che può vantare un cast in stato di grazia composto dal giovane Miles Teller e dal luciferino J.K. Simmons.

Andrew (Miles Teller) è un batterista jazz, iscritto al conservatorio di New York, che insperatamente raggiunge la più importante orchestra della scuola, diretta dal temuto Fletcher (J.K. Simmons). L’ossessione di diventare il migliore spingerà il giovane protagonista a sacrificare i propri affetti e si scontrerà con i metodi violenti e traumatizzanti del direttore del complesso.

Non privo di scivoloni retorici, Whiplash è un film gradevole, capace di infondere l’amore per la musica mediante la complessa relazione tra i due personaggi principali. I dialoghi spesso scioccanti e repentini fanno da perfetto compendio alle furiose rullate di batteria o all’armonico incedere dei brani. Il tutto montato rapsodicamente alla perfezione da un cast tecnico che dimostra di conoscere a fondo la materia. Diametralmente opposto rispetto all’ormai mitico L’attimo fuggente (1989) di Peter Weir, qui il rapporto insegnate-allievo diviene fin da subito morboso e ossessivo, esempio stordente di odio reciproco capace di generare mostri o geni, senza alcuna via di mezzo.

Tutto il sistema educativo contemporaneo è messo in discussione dal regista, il cui slogan è pronunciato dallo stesso Fletcher al tavolino di un club: “non esistono due peggiori parole al mondo di bel lavoro”. Un’educazione fatta di schiaffi e sangue, che lo spettatore rifiuterà d’istinto ma che finirà cinicamente per accettare.

Andrea Pesoli

 

Questo non è un film per batteristi

«Quelli suonano jazz come Holly e Benji giocano a pallone!». Alla Fondazione Siena Jazz i primi commenti su Whiplash non lasciano spazio a recensioni positive. La curiosità che il film ha suscitato in prima battuta tra i miei amici musicisti («Finalmente un film sui batteristi!») si è spenta nel corso della prima mezz’ora di proiezione, quando la discrepanza tra il trailer e l’opera nel suo insieme si era ormai fatta evidente.

Whiplash, dall’omonimo brano di Hank Levis che a più riprese fa da colonna sonora alla pellicola, non è un film per batteristi. Né, a dirla tutta, per musicisti, nonostante le apparenze.

Sin dall’inizio la linea narrativa si focalizza sul rapporto tra Andrew, ambiziosa matricola con il pallino per i tempi raddoppiati e gli assoli di Buddy Rich, e il temutissimo professore d’orchestra jazz Fletcher, che lo assolda nella sua big band. La cui missione dichiarata è spingere le persone oltre le proprie aspettative, esercitando la didattica della musica alla stregua di un addestramento militare: così il giovane Neiman, costretto a subire dal mentore angherie gratuite degne di Full Metal Jacket, finisce per perdersi in una spirale di ipercompetizione e autolesionismo che lo porterà a sfiorare un esito fatale.

Diversi gli aspetti che lasciano perplesso un pubblico di musicisti italiani. Fatte le distinzioni col metodo accademico americano, il modo in cui viene rappresentato l’approccio allo strumento e alla musica d’insieme non è certo realistico. Da una parte lo studio individuale, una lotta titanica contro se stessi che costringe ad aprire ferite sulle mani e a imbrattare di sangue la pelle del rullante, non rispecchia neanche lontanamente la realtà.

Che è sì sacrificio e costanza quotidiana, ma soprattutto ricerca della naturalezza, come ogni jazzista apprendista sa bene. Immediata la reazione del pubblico in sala durante la scena in cui Andrew si contorce nello studio di un improbabile fast tempo: «Ma così gli verrà la tendinite!».  Neanche il fattore talento sembra assumere grande rilevanza nel contesto, laddove il genio di Charlie Parker viene ridotto negli aneddoti di Fletcher a ciò che un musicista consegue se “si applica molto”. Dall’altra il lavoro orchestrale, in cui la tecnica individuale e l’ossessione per la precisione metronomica non sembrano lasciare spazio alla ricerca corale della musicalità, ci restituisce una visione così odiosa del genere big band e del jazz in generale, che nemmeno una chiave di lettura esplicitamente grottesca potrebbe giustificarla.

A prescindere da una serie di obiezioni tecniche care solo agli addetti ai lavori, viene dunque da pensare che la musica non sia davvero l’aspetto centrale di questa pellicola.

Il giudizio di merito sul film, di cui vanno giustamente celebrate le interpretazioni di Simmons e i virtuosismi nel montaggio, in assenza di una trama particolarmente ricca o di presenze secondarie che risultino sufficientemente rilevanti (marginali le figure del padre e della fidanzata), andrebbe dunque dato esclusivamente sul modo in cui viene affrontato il tòpos delle dinamiche tra maestro e allievo.

Rispetto agli analoghi, da Karate Kid a Billy Elliot, manca una scelta etica di fondo netta, una mossa apprezzabile che avrebbe potuto forse dare sufficiente respiro alle ambiguità e alle contraddizioni del rapporto morboso tra i due personaggi. Al contrario, nella versione definitiva di Whiplash, pensato in partenza come un cortometraggio, vengono a mancare l’equilibrio della struttura narrativa e l’approfondimento della psicologia dei personaggi, che ne farebbero invece un’epopea del sacrificio o dell’annichilimento personale, come ad esempio nel magistrale Black Swan.

Whiplash, di Damien Chazelle con Miles Teller e J.K. Simmons

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