Lo spazio espositivo Ordet di Milano, per la sua seconda mostra nella nuova sede di via Filippino Lippi, 10, apre le porte a LGUDGN71R23D341C, mostra dell’artista Luigi D’Eugenio il cui titolo è il codice fiscale dell’artista, un personaggio outsider di cui si sa poco o nulla. Andrea Mirabelli ha incontrato l’artista Roberto Cuoghi, curatore del progetto e vecchio amico di D’Eugenio, per provare a chiarire il mistero.
LGUDGN71R23D341C, titolo della mostra a cura di Roberto Cuoghi negli spazi di Ordet a Milano, è il codice fiscale dell’artista Luigi D’Eugenio, di cui non si sa quasi nulla. Le opere in mostra sono tutte senza titolo e sono state prelevate “con consenso” dallo studio/rifugio dell’artista proprio da Roberto Cuoghi e Oppy de Bernardo.
Tele di grandi e medie dimensioni, materiche e dipinte su tessuti da ricamo si dispongono nello spazio espositivo tra luci e ombre dei soppalchi, come se richiamassero possibili osservatori.
I soggetti vengono presi da tutto il web, unico scambio che D’Eugenio ha con l’esterno e che vengono scelti per la loro bellezza intrinseca, senza un apparente filo conduttore se non quello della sensibilità dell’artista per l’immagine stessa.
La materia della pittura sembra sposarsi perfettamente con i soggetti in bassa risoluzione, amplificando l’effetto della pixelatura noto a tutti i possessori di uno smartphone.
Tuttavia proprio per questa ruvidità l’immagine non risulta piatta o grafica riuscendo consapevolmente o meno a evitare l’effetto “locandina”.

Roberto Cuoghi ha gentilmente aperto le porte del suo studio per rispondere alle mie curiosità.
Com’è nata l’idea della mostra?
Dalla richiesta di Edoardo Bonaspetti di fare qualcosa allo spazio Ordet. Ha insistito che poteva essere qualunque cosa non avrei potuto fare altrove e ho subito pensato alla tana di questo artista, ma dovevamo essere in due, così ho chiesto a Oppy De Bernardo, che é rimasto in contatto con lui per tutto questo tempo. Oppy non aspettava altro.
Come hai conosciuto il lavoro di D’Eugenio?
Esattamente 30 anni fa, al corso di Alberto Garutti, a Brera. Io avevo i piercing alle unghie e lui sembrava l’ombra di Peter Pan. Aveva piccoli dread e una voce sottile e gentile, ma un giorno arrivò con un lavoro di documentazione. Li vedevi dormire nella penombra in poltrona, niente di strano, aveva narcotizzato la sua famiglia in salotto.

Com’è rapportarsi con il lavoro di un artista che ha deciso di essere un outsider del mondo dell’arte?
Ne ha preso atto, non lo ha deciso. E non posso dire che abbia il cuore in pace, ma ho la sua fiducia perché sono d’accordo con lui praticamente su tutto. Se entri nella sua atmosfera e non prendi fuoco, scopri un uomo molto lucido, che può permettersi qualsiasi grado di sarcasmo perché guarda le cose in faccia. Non si perde tempo con lui, non é uno che crede agli elfi e non é un gattaro. É un artista, con una produzione più articolata di quella degli insider che invecchiano in giro per il mondo facendo residenze. La mostra da Ordet, se ci pensi, é una mostra continental, reggerebbe a Miami come a Hong Kong, a Berlino o a Calcutta e sento dire che é la mostra più bella in città in questo periodo: é primavera.
È stato difficile confrontarsi con il nuovo spazio espositivo di Ordet?
Non particolarmente, ho visto lo spazio che era ancora un’officina, ma non ho mai visto il vecchio, colpa mia. Forse non é lo spazio ideale per fare mostre di pittura. Abbiamo risolto in due mezze giornate di allestimento, niente di più semplice … mancava una luce e ora c’é.

Oggi i presupposti di molti discorsi culturali ed estetici hanno a che vedere con un imbroglio al quale credere o da smascherare stando al gioco, sono insomma dalla parte della frode. Presentare un artista realmente esistente ma fuori dal sistema implica lo scontro con questa dimensione, non si riesce ad accettare il fatto che sia un’operazione autentica, perché l’autenticità del mondo risiede nella contraffazione. Pensi che sia una riflessione corretta per questa mostra?
Il pubblico dell’arte é assuefatto a farsi fregare. Non é un mio problema, un po’ dispiace, poi passa.
Rendere presente nel mondo dell’arte un outsider significa effettivamente relegarlo come tale, come uno spettro, una presenza estranea. Se fosse rimasto fuori lo spettro non si sarebbe mai materializzato. Concordi con questo spunto?
Sì sì, abbiamo fatto succedere una cosa che non si sarebbe mai verificata ‘in natura’.
Viva gli spettri!
Luigi D’Eugenio, LGUDGN71R23D341C A, a cura di Roberto Cuoghi, Ordet, Milano, fino al 14 giugno
Tutte le immagini: LGUDGN71R23D341C, a cura di Roberto Cuoghi, Ordet, 2025. Courtesy Luigi D’Eugenio e Ordet, Milano . Foto Nicola Gnesi.