Villoresi e Dabbrescia, il doppio volto del ritratto

In Arte

Al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano si è appena conclusa la mostra “Lo sguardo dentro, lo sguardo fuori…lo sguardo dove?”, a cura di Andrea Ciresola, e Carola Annoni di Gussola, con le fotografie di Manlio Villoresi e Mimmo Dabbrescia, due fotografi che non si sono mai conosciuti, ma che qui si sono incontrati grazie al dialogo continuo tra i loro ritratti fotografici. Due artisti che – mettendo a confronto due modi opposti e complementari di guardare le persone, dall’intimità dell’atelier alla libertà del fotogiornalismo – raccontano due epoche e due visioni della fotografia: quella che scava dentro e quella che lascia entrare il mondo.

C’è un tempo lungo della fotografia che resiste agli stili e ai formati, quello in cui l’immagine non si accontenta di rappresentare ma tenta di capire. È il tempo condiviso da Manlio Villoresi e Mimmo Dabbrescia, protagonisti della mostra Lo sguardo dentro, lo sguardo fuori… lo sguardo dove?, che si è da poco conclusa al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Due autori lontani per epoca e sensibilità, che non si sono mai incontrati ma che qui dialogano attraverso ottanta ritratti selezionati e accostati come in un gioco di specchi grazie alla collaborazione con la Fondazione Villoresi Poggi e al supporto di Musei in Comune di Roma, Museo di Roma e Art D2 modern and contemporary art.

Manlio Villoresi, Vittorio Gassman, 1945/50

Manlio Villoresi, romano, attivo tra gli anni Venti e Quaranta, appartiene alla generazione dell’atelier fotografico: fondali neutri, luci perfette, pose calibrate in un linguaggio che trasforma il volto in icona. Nei suoi scatti Anna Magnani o Vittorio Gassman sembrano figure di un teatro interiore, sospese tra l’orgoglio e la fragilità della rappresentazione. “Nelle foto di Villoresi – ricorda Giovanna Calvenzi nella postfazione al catalogo – la relazione è tutta dentro: gli occhi guardano in macchina, e il fotografo dialoga davvero con chi ha davanti.” È uno sguardo che scava, che interroga la persona e il suo desiderio di essere vista.

Mimmo Dabbrescia, Fabrizio De André

Mimmo Dabbrescia, pugliese di nascita e milanese d’adozione, è invece figlio del fotogiornalismo: quello che Buzzati e Pigna gli fecero scoprire al Corriere della Sera quando, giovanissimo, arrivò in via Solferino. Nei suoi ritratti di De André, Dalì, Montale, Liz Taylor o i Beatles, lo sguardo sfugge spesso all’obiettivo, come se l’artista volesse lasciare un varco al caso, all’emozione, al mondo che preme fuori dal set. “Fotografa le persone cogliendone momenti di realtà non necessariamente belli o enfatici – scrive ancora Calvenzi – ma veri, vissuti, attraversati.”

Manlio Villoresi, Anna Magnani, 1945

Il dialogo tra i due nasce proprio da questa antinomia: lo sguardo che entra e quello che esce, l’immobilità dorata dell’atelier e il dinamismo delle strade. I curatori Andrea Ciresola e Carola Annoni lo mettono in scena come un contrappunto teatrale, dove ogni immagine sembra raccontare non tanto la trama quanto chi la interpreta. Così, i volti di Dabbrescia e quelli di Villoresi si rispondono, rivelando – sotto la superficie del glamour o della compostezza – una stessa curiosità per la natura umana, per il mistero che abita gli occhi.

Mimmo Dabbrescia, Salvador Dalì

A dare misura del tempo trascorso tra i due c’è anche la materia: le lastre al bromuro d’argento di Villoresi, oggi conservate al Museo di Roma, e i negativi di Dabbrescia, vissuti e segnati dal viaggio, dal reportage, dall’urgenza del racconto. Ma più che due generazioni, la mostra sembra mettere in scena due attitudini complementari: la fotografia come specchio e come finestra, come luogo dove si entra e da cui si esce.

Il taglio del nastro all’inaugurazione della mostra. Da sinistra Carola Annoni, Mimmo Dabbrescia, Valerio Villoresi e Andrea Ciresola

Nel documentario di Andrea Oriani, proiettato in mostra, Dabbrescia – 87 anni, commosso davanti ai propri scatti – ricorda l’energia di quegli incontri, la leggerezza e la fatica di un mestiere che è anche sguardo morale. In fondo, il punto interrogativo del titolo resta aperto: lo sguardo dove? Forse – suggerisce la mostra – lo sguardo è sempre altrove, in quell’istante sospeso tra chi fotografa e chi si lascia vedere, dove per un attimo la realtà, semplicemente, accade.

In copertina: Mimmo Dabbrescia, Mina in concerto ad Alessandria, 1970

(Visited 1 times, 1 visits today)