Stia molto attento, avvocato Reeves, quel processo è un’imboscata

In Cinema

“Una doppia verità” di Courtney Hunt ci porta nella calda, viscida Louisiana, dove tra la ricca e potente borghesia si consuma un delitto. L’avvocato Lassiter giace in un lago di sangue, e con lui c’è il figlio, con un coltello in mano. Che si dichiara colpevole e non parla con nessuno, avvocato compreso, la cui mission si delinea subito impossible. Un robusto legal thriller dal cast efficace, dall’avvocato Keanu Reeves alla vedova Renée Zellweger, dalla vittima Jim Belushi alla praticante Gugu Mbatha-Raw

Il plot di Una doppia verità di Courtney Hunt sembra semplice, quasi banale, senza possibili sorprese. Un morto accoltellato, il ricco, manesco e prepotente avvocato Boone Lassiter (Jim Belushi, in un insolito ruolo di protagonista odioso), e, accanto a lui sulla scena del delitto, il figlio Mike (il giovane Gabriel Basso, cupo e inquietante) con un coltello insanguinato in mano. Che si dichiara, da subito, reo confesso, e da quel momento smette di parlare con chiunque, avvocato difensore compreso (Ramsey, cui dà volto con durezza Keanu Reeves). Il quale, amico di famiglia da lungo tempo dei Lassiter, e in qualche modo allievo di Boone, prende da subito le difese dell’ostico ragazzino: anche perché glielo ha chiesto Loretta (Renée Zellweger), la vedova, da lungo tempo vittima di insulti, umiliazioni e violenze da parte del coniuge.

Ma siccome siamo nella calda, umida e viscida New Orleans, dove il film è stato davvero girato, tribunale compreso, perché, come dice la regista che una decina d’anni fa si rivelò con Frozen River – Fiume di ghiaccio, Gran Premio della Giuria al Sundance e poi due nomination all’Oscar, “la qualità della luce, il modo in cui colpisce le pareti del palazzo di giustizia, l’aria, i temporali, l’essere circondati dal golfo, tutto conferisce quel senso di pesantezza ai personaggi”, nulla, ma proprio nulla, è come sembra. La vittima è disprezzabile, la moglie forse non gli era fedele, il figlio un po’ fuori controllo aveva le sue ragioni di ostilità verso il babbo. E soprattutto l’avvocato Ramsey, alle prese con una mission impossible, potrebbe avere anche motivazioni diverse dalla deontologia professionale – e dal compenso – per condurre la giuria alla verità dei fatti.

Insomma, per dirla con le parole del produttore Elon Dershowitz: “Tutti mentono alla sbarra. Ognuno ha una forte motivazione per farlo. Ma cosa accade in un caso giudiziario se nessuna delle storie raccontate alla sbarra sono del tutto vere?”. E, forte della sua esperienza di regista tv di serie legal di grande richiamo come Law and Order, ma anche di spessore psicanalitico come In Treatment, Hunt rilancia, citando un po’ il grande classico Rashomon di Akira Kurosawa: “Credo ci sia una sola verità oggettiva, ma ne otteniamo cinque versioni diverse”.

Una doppia verità

Ha ambizioni decisamente hardboiled, in verità non per tutto il corso del racconto giustificate, Una doppia verità, anche grazie all’expertise legale dei suoi autori: Dershowitz, già produttore di un altro celebre trhiller giudiziario come Il mistero von Bulow, che fece vincere l’Oscar a Jeremy Irons, è figlio di un famoso avvocato e l’autrice, laureata in legge, ha un marito leguleio. Da qui discende la sua grande minuzia e prudenza come director: “Non siamo più ai tempi di Perry Mason: la gente ha visto ormai così tante corti giudiziarie in tv che è diventato esperta in materia”.

Ramsey e la sua giovane, combattiva praticante Gugu Mbatha-Raw incassano ad ogni udienza colpi micidiali dall’accusa, ma la sua strategia è uno sfinimento di lungo corso. Così comincia a portare la giuria verso altro domande, perché tanto fatti e colpevole sono già chiari, scontati. Chi era veramente Boone Lassiter, quanti nemici si era fatto nella sua vita? E dato che ci troviamo, per usare una terminologia appropriata, in un “trial by ambush”, un processo per imboscata, in cui le parti non sono state messe a conoscenza di tutte le prove e di tutti i testimoni dell’altra parte, lo spazio per detour e colpi di scena è praticamente illimitato. Pure troppo, perché se un difetto lo script e il film hanno certamente, è la smania del ribaltamento, anzi, di una serie di ribaltamenti, che deve poi compensare la drammaturgicamente eccessiva mole di prove a carico di Mike. La cui innocenza diventa così una sorta di obbligo non solo narrativo ma anche “morale”, poco sorretto peraltro dal poco o nulla che si sa di lui. E non mancherà alla fine un ulteriore ribaltamento.

All’attivo del bilancio del film resta comunque un impianto solido e ben giocato al servizio degli attori, e il ritratto della borghesia agiata di una piccola città nella calda, sudaticcia Lousiana, dove tutti si conoscono e si tradiscono, hanno un ruolo fondamentale l’uno per l’altro ma ciò non li esime dal celare segreti pericolosi, inconfessabili. Meglio che un giovane capro espiatorio, che oltretutto si vuol sacrificare, paghi per tutti.

Una doppia verità, di Courtney Hunt, con Keanu Reeves, Renée Zellweger, Gugu Mbatha-Raw, Gabriel Basso, Jim Belushi.

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