Un tumulto di passioni agita quel Ballo in Maschera

In Musica

In scena al Nuovo Comunale di Bologna, questa edizione dell’opera verdiana contiene una ricerca drammaturgica interessante. Il regista Daniele Menghini propone uno spettacolo fresco e giovanile. E dietro le maschere pulsano i sentimenti. A dirigere, fino al 19 aprile, Riccardo Frizza

Il Ballo in Maschera in scena al Nuovo Comunale di Bologna fino al 19 è uno spettacolo maturato in un lungo processo teatrale. Nato sul palcoscenico di Busseto nello scorso settembre, esportato nei teatri delle Marche, arriva infine su una scena più larga e con una compagnia di cantanti di lunga esperienza. Voglio parlarne perché anche se non lo rivedrò in questa ultima versione, credo che nel suo sviluppo contenga il nucleo di una ricerca drammatica decisamente interessante.

Recensendo la Carmen, che lo stesso team (regia di Daniele Menghini, scene di Davide Signorini, costumi di Nika Campisi) aveva presentato allo Sferisterio di Macerata nel lontano 2003, mi ero soffermato su una drammaturgia aperta, queer e alla portata “di tutti”. Cioè un magic box, sotto le stelle, che sfruttando l’orecchio interno di Bizet, andava a solleticare l’immaginario più o meno recondito, e in particolare l’attrazione per un mondo militaresco maschile messo a confronto con una creatività femminile, immaginifica e seduttiva.

( foto Andrea Ranzi)

Non a caso Menghini nelle note di sala dell’opera attualmente in scena a Bologna si sofferma sulla “francesità” del Ballo verdiano, che ci fa pensare ai ballabili travolgenti di “Dunque signori aspettovi”. Ma il suo spettacolo – più che offenbachiano e scapigliato – è decisamente materico.  Arriva al ballabile, al ballo e al balletto, dopo essere passato per una notte di sesso promiscuo.

È questa – ad apertura di sipario – l’immagine che si imprime. “Posa in pace, a’ bei sogni ristora” è cantato nel torpore della sbornia o del dopo sballo o del dopo di un tanto che si oggettiva nell’entrata di Riccardo vestito da donna, come Nerone quando cercava e viveva un’attrazione erotica, meno mediata, fuori dalla Domus Aurea. 

Questa chiave torpida, che si accende solo con l’ingresso di Oscar, è perfetta per l’immaginazione di chi guarda perché corrisponde a quello che possiamo pensare che fosse una notte a Boston (dove si svolge l’opera), cioè nelle colonie inglesi, alla fine del Seicento. 

Una volta centrata questa temperatura, eccellente nei sopratesti e un po’ meno nei sottotesti (la figura di Renato e il suo rapporto con Riccardo scivolano in ombra), Menghini non ha difficoltà ad assecondare la chiarezza ineguagliabile della partitura, ad esempio vestendo con uno smoking nero “pulito” i congiurati, così da staccarli dalla corte sessuata e semisvestita di Riccardo, o facendo accompagnare Amelia da Ulrica non da una nutrice col bambino ma da un servo vestito in una tenuta leather che tiene in braccio il figlio neonato.

La cellula erotica – come quella musicale – del Ballo è veramente complessa. Non è semplice, alla prima, come quella della Trilogia. E’ orgasmica, nel passaggio dal grande duetto interrotto al monologo finale di Riccardo, e per questo ci ha abituato, con gli ascolti dei grandi direttori, a pensarla in chiave tristaniana.

( foto Andrea Ranzi)

Menghini e i suoi collaboratori, tutti sotto i quarant’anni, tutti dannatamente bravi, ci propongono un Ballo giovanile, fresco e intimo, che vibra di ricordi esterni, nel senso che certe immagini hanno la naturalezza di un vissuto. Nella versione di Busseto, Riccardo raggiungeva l’antro di Ulrica muovendo dal pubblico, mano nella mano col paggio che gli piaceva, e gli chiedeva ragione con lo sguardo, più che con la parola, di quanto accadeva. 

Il teatro gay – almeno quello più corrivo – ha spesso un’intonazione malinconica, tra il cinema di Fellini e le messinscene del regista scozzese McVicar.  Menghini da sempre premia la visione dei bei ragazzi (cioè dei mimi) svestiti ma ciò che risultava tangenziale, ad esempio, nel suo Tristano appena visto a Palermo, non lo è quasi mai nel Ballo di Verdi perché è l’opera compatta, e già di per sé mascherata, ad accogliere quella che lungi da essere una pro-vocazione, è una voce schietta di piacere e passione che pulsa ed esce da sotto alla maschera. 

A Busseto si alternavano due cast con una unica Ulrica, eccellente, statuaria, la vera incognita di tutta la vicenda : sa o non sa ? Capisce o intravede? Da che parte sta?  Stimola immaginare cosa succederà con le voci a Bologna e soprattutto con un direttore di mestiere sicuro come Riccardo Frizza. 

Comunale Nouveau di Bologna Giuseppe Verdi Un ballo in Maschera. Dirige Riccardo Frizza, regia di Daniele Menghini (repliche 16, 17, 19 aprile)

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