L’intelligenza degli alberi: la racconta Tristan Gooley.

In Letteratura, Saggistica

Esercizio di pazienza cognitiva, manuale di osservazione, guida esplorativa, chiavistello per interrompere la catena dello stress e tornare a centrarsi sulla capacità del riconoscimento di ciò che ci è – beneficamente – intorno. Il nuovo libro della collana AltreCose che lega Iperborea a Il Post è una avventura per la mente, un eserciziario di curiosità. Ma, più ancora, un libro che insegna a guardare gli alberi in modo attivo, a istituire con loro un dialogo di comprensione. Insomma: un’ancora per la curiosità – con la consueta, entusiasmante, contagiosa intelligenza di sempre.

Leggere gli alberi di Tristan Gooley è un libro che in qualche modo deve essere ‘usato’ per capirlo davvero. Deve essere non solo letto, ma sperimentato, seguito in quel che ci racconta, in quel che ci fa vedere. Molto di più di un manuale o di una guida: ma per prendere vita, come gli alberi che ne sono i protagonisti, richiede che lo ascoltiamo e seguiamo quel che ci dice.
Farlo non è difficile, per cominciare non serve un’avventura in una selvaggia foresta pluviale: basta scendere ai giardini sotto casa e cominciare a guardare gli alberi, cominciare a riconoscerli.


Certo dobbiamo dedicarci un po’ di tempo, non attraversarli veloci pensando ai nostri programmi. Ma questa attività potrebbe anche diventare una salutare sospensione dagli affanni quotidiani, quasi una terapia anti stress.
Se siamo in inverno, a meno che non ci siano delle conifere sempreverdi, vediamo soltanto i tronchi e i rami spogli delle latifoglie, che appunto perdono le foglie col freddo: ottima occasione per osservarli meglio. Sembrano un po’ tutti uguali. Forse la corteccia di qualcuno è più scura, qualcun’altra più biancastra.
Se le osserviamo bene, però, ci accorgiamo che le latifoglie hanno due possibili schemi di crescita: a rami opposti o a rami alterni. Per vederlo dobbiamo cercare i rami più giovani, se uno cresce di fronte all’altro, abbiamo il primo schema, altrimenti l’altro. Tertium non datur. La stessa modalità si ripete in tutti gli altri elementi: se i rami, grandi e piccoli, sono opposti, lo saranno anche le gemme, le foglie, perfino fiori e infiorescenze.
Pioppi, ciliegi e querce hanno foglie a rami alterni, aceri e frassini opposti.
Proseguiamo nella nostra osservazione, obbedendo non a una qualche classificazione o tassonomia, e neanche seguendo passo passo il percorso che ci propone Tristan Gooley, ma semplicemente fermandoci a guardare l’albero che abbiamo davanti.
I rami sono un problema. La carta vincente degli alberi è un tronco forte, che permette di sovrastare i rivali. Ma il tronco non ha foglie, quindi servono anche i rami. Ed ecco il problema: i rami sono costruiti come il tronco, che però si è evoluto per essere forte e stabile e crescere in verticale, mentre loro crescono quasi in orizzontale; si tratta di un problema strutturale. I rami sono praticamente come braccia che sostengono un peso orizzontale rispetto al tronco, cosa che determina sforzo e tensione. Gli alberi percepiscono lo sforzo, come noi quando reggiamo un peso, e nel punto in cui il ramo si congiunge al tronco producono un rigonfiamento detto ‘collare del ramo’. Si tratta di un legno molto duro, tanto che è stato trovato nei manici delle asce dell’età del bronzo.
Se osserviamo il ‘collare’, notiamo che non è simmetrico: alcuni sono più spessi verso l’alto, altri verso l’alto.
Le conifere spingono i rami dal basso, usando il ‘legno di compressione’, le latifoglie li tirano verso l’alto usando il ‘legno di trazione’. Le cellule del ‘legno di trazione’ si accorciano come i tiranti di una tenda. Questo crea forme diverse anche nei collari dei rami. Le conifere hanno un rigonfiamento maggiore sotto l’attaccatura, le latifoglie sopra.
Proviamo ad osservare e vedremo che è proprio vero e non ce ne eravamo mai accorti: quante cose nuove che erano sempre state sotto i nostri occhi non esistono fino a che non le vediamo davvero?

Allarghiamo lo sguardo, spostiamoci fuori, in montagna.
Ogni volta che mettiamo piede in un bosco possiamo aspettarci che questo si sviluppi secondo uno schema ricorrente. Gli alberi diventano più alti via via che ci si addentra tra i tronchi, perché quelli ai margini, più esposti, subiscono il violento impatto dei venti e crescono meno.

E cambiano anche le specie. Gli alberi che vivono nel cuore dei boschi sono diversi da quelli che vivono lungo i margini. La maggior parte segue una strategia: lepre o tartaruga. Le lepri sono le specie dette ‘pioniere’: producono milioni di semi minuscoli, spesso trasportati dal vento, che finiscono in ogni spazio spoglio, dove attecchiscono e crescono in fretta.
Ma il prezzo che devono pagare è che non sviluppano tronchi grandi e robusti, quindi non diventano molto alti. Betulle, salici, ontani e pioppi sono esempi di specie pioniere.
Le tartarughe, invece, dette specie ‘climax’, adottano un approccio diverso. Producono semi più grandi e puntano sulla lentezza, appunto.
Attraversando un bosco, passeremo dalle piante pioniere all’esterno, ai climax all’interno.
Le prime sono più chiare e fanno meno ombra. Le betulle hanno la corteccia chiara e lasciano penetrare più luce rispetto alle querce (per proteggersi), cosa che accentua l’oscurità via via che penetriamo nel bosco.
Attraverso i segni del vento, del sole, della pioggia su foglie, rami, tronchi e radici possiamo orientarci nel bosco, conoscere e capire famiglie e specie diverse, come si sono sviluppate e perché, entrare nel loro mondo e godere della loro bellezza, varietà, intelligenza.

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